Venerdì 04 Aprile ore 19:00 e 21:00, presso la Sala degli Specchi della Reggia di Monza
Chigiana Percussion Ensemble diretto da Antonio Caggiano
Giulio Ancarani, Francesco Conforti, Roberto Iemma, Matteo Lelii percussioni
Musica di Glass, Cage, Takemitsu, Wolfe, Ligeti, Sollima, Freedman, Samuel e Reich
Ingresso unico €10
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Il ritmo e l’ascolto
Stefano Jacoviello
Il concerto del Chigiana Percussion Ensemble offre ai suoi spettatori un racconto sul concetto che per i compositori del Novecento ha rappresentato il principale oggetto di interesse filosofico ed estetico: il rapporto fra l’ordine del tempo, la sua mobilità irrefrenabile, e la posizione dell’ascoltatore al suo interno. Si può dire che dal secondo dopoguerra in poi, da una parte e l’altra dell’Atlantico settentrionale, quasi tutti abbiano tentato di dare una risposta propria e originale al dilemma dell’alterità fra il tempo musicale e quello in cui scorrono le nostre vite.
Apre il concerto “Opening” di Philip Glass (1937), uno degli alfieri del cosiddetto minimalismo americano, corrente musicale che in realtà raggruppa artisti dallo stile e dagli esiti compositivi molto differenti. Il carattere che li unisce è appunto la comune riflessione, tutta moderna, sulla natura del tempo musicale e la capacità della musica di dispiegare una dimensione spaziale implicita. L’ascolto si fa metafora non solo di percorso, ma anche di meditazione su una configurazione che si articola di fronte alle orecchie dell’ascoltatore, come se i suoni disegnassero geometrie complesse e mutevoli. Primo movimento dei sei che compongono la suite Glassworks (1982), “Opening” esprime chiaramente gli intenti di Glass: permettere alla sua musica di raggiungere un pubblico più ampio grazie al formato adatto alle musicassette e al Walkman, strumento di riproduzione sonora rivoluzionario, appena creato dalla Sony in quegli anni. La musica di Glass, con i suoi rapporti armonici semplici e intriganti, con le ripetizioni modulari che avrebbero fatto scuola per i decenni a venire, può accompagnare gli ascoltatori in movimento, liberi di associare il discorso musicale alla visione quotidiana del mondo circostante, cominciando così a far parte immediata del modo di “sentire la vita”.
Se Glass rappresenta uno degli apici della riflessione novecentesca americana sulla natura della relazione fra tempo musicale e dell’ascolto, John Cage può esserne identificato come il precursore, e anche riconosciuto come colui che ha raggiunto in assoluto la maggiore profondità speculativa sull’argomento. “Trio” (1936) riprende la forma in tre movimenti della classica composizione di musica da camera: Allegro, Marcia e Waltz. Ciascun movimento è costruito sulla figura ritmica canonica corrispondente al genere indicato nel titolo. Tuttavia, il trattamento con le percussioni permette di astrarre il più possibile i suoi connotati, riducendola ad una stilizzazione. Sempre condita da ironia tagliente, è come se la musica di Cage volesse mostrare l’ultima traccia dell’eredità musicale occidentale, ridotta alle sue spoglie nude.
La lezione di Cage passa nella musica di Toru Takemitsu (1930-1996) per dar luogo ad un’altra forma di stilizzazione: il compositore giapponese abbandona l’ironia deflagrante del maestro americano per lasciare spazio al dispiegarsi dell’immaginazione poetica seguendo dei flussi musicali apparentemente ininterrotti. “Rain Tree”(1981) è quell’albero che dopo la pioggia notturna, invece di lasciar cadere l’acqua al suolo come le altre piante, trattiene le gocce fra le foglie fitte per rilasciarle lentamente all’alba, quando a contatto con la luce emetteranno iridescenze imprevedibili. Takemitsu annulla qualsiasi riferimento concreto alla tradizione musicale giapponese, conservando invece un approccio filosofico tutto orientale all’evento sonoro e alla sua dimensione spazio-temporale: un retroterra culturale che d’altra parte affascinerà Cage e innerverà la sua concezione dell’aleatorietà.
Julia Wolfe, altra compositrice americana nata a Philadelphia nel 1958, in “Dark full ride” abbandona apparentemente la ricerca formale pura facendo appello allo stile della popular music e al suono di uno dei suoi strumenti identificativi: quattro batteristi intrecciano le figure più utilizzate dal rock e al jazz per costruire un tessuto sonoro che invita al ballo libero, ma lascia all’ascoltatore la possibilità di seguire scansioni ritmiche a velocità differente, moltiplicando le dimensioni simultanee dello scorrere del tempo.
Gli assomiglia la proposta di Lukas Ligeti (Vienna 1965), che però sostituisce alle figure tipicamente batteristiche una melodia suonata da quattro esecutori sulla marimba. Se il padre Gyorgy (1923-2006) è forse insieme a John Cage il compositore del Novecento che più ha contribuito in maniera sistematica ad una concezione del tempo musicale completamente nuova, pur innestandola sulle radici della polifonia rinascimentale, il figlio Lukas in “Pattern transformation” gioca con figure semplici, dall’aria quasi infantile, per riproporre il problema della tensione dell’ascolto sfruttando gli accenti delle frasi musicali e le altezze delle note. Il risultato è un materiale sonoro plastico, presente, che si deforma nel tempo. L’ascoltatore si immerge nella materia sonora finché, trovatosi spaesato, deve riprendere il percorso cosciente della necessità di costruire relazioni fra i suoni: ciò che qualsiasi musica ci chiede di fare.
Con il primo movimento della sua “Millennium Bug”, il palermitano Giovanni Sollima (1962), rimanda a suggestioni di musica globale che sembrano originare direttamente dalla congerie di sonorità della world music che cominciava a invadere il panorama musicale alla fine degli anni ’80. Noto anche come virtuoso violoncellista, nel secondo movimento il compositore siciliano dallo stile particolarmente trasversale sposta l’archetto dalle corde del suo strumento ai tasti del vibrafono, per trasportaci in un’atmosfera opposta a quella precedente: armonie punteggiate da piccoli frammenti melodici che si risolvono in arpeggi accompagnati dal suono del piatto, come in una ballad in stile progressive rock.
Il concerto declina poi le atmosfere verso il jazz moderno americano con David Friedman e Dave Alan Samuels, due percussionisti che accanto alla formazione e la pratica professionale del repertorio classico si sono dedicati alla musica afroamericana, facendone il primo orizzonte di interesse. Insieme alle collaborazioni con i più importanti solisti della scena jazz mondiale, nel 1975 Friedman e Samuels hanno costituito il “Mallet Duo”, per eseguire musiche originali scritte per vibrafono e marimba. In “Carousel”, fra parti scritte e improvvisazione, si ritrovano le sonorità degli Spyro Gyra (di cui Samuels è stato membro), degli steel drum di Trinidad, richiami al linguaggio di Gavin Bryars misto a quello delle ultime band di Chick Corea e di Pat Metheny.
Chiude il concerto “Drumming” un caposaldo del minimalismo americano e del repertorio percussionistico moderno. Il brano di Steve Reich, scritto fra l’autunno del 1970 e quello del 1971, rappresenta il traguardo finale nel perfezionamento del phasing: una tecnica compositiva per cui ogni evento sonoro viene moltiplicato in modo che dia l’effetto di essere seguito da un’ombra a distanza temporale variabile; lo “sfasamento” fra i cicli di ripetizioni dello stesso evento produce effetti sonori dipendenti dalla misura variabile dell’intervallo di tempo che li separa.
Oltre al phasing, in questo brano Reich sperimenta altre due tecniche: la sostituzione ritmica fra il suono e la sua assenza; il cambio graduale di timbro mentre il ritmo e l’altezza dei suoni rimangono costanti. Il Chigiana Percussion Ensemble eseguirà solo il primo dei quattro movimenti dell’intera composizione, in cui vengono sperimentate anche inedite soluzioni timbriche e l’uso della voce. In “Drumming – Part I” l’ascoltatore potrà districarsi nella massa percussiva prodotta dai colpi sulle pelli dei bongos ritrovando ciclicamente dei “bandoli della matassa” a cui aggrapparsi, finché sarà costretto ad aggrapparsi a qualcos’altro che emerge, esponendo un’altra configurazione ritmica come se fosse un tema nel discorso sinfonico.
Il concerto del Chigiana Percussion Ensemble regala allo spettatore l’occasione di ritrovare il proprio posto nel tempo, seguendo la molteplicità di cicli ritmici che in fin dei conti rispecchiano la varietà dei moti dell’universo in cui siamo immersi, e rispetto a cui siamo costretti a prendere posizione.