095. Da Gertrude a Marianna, dal romanzo alla vita vera - Grand Tour nel cuore della Lombardia

Da Gertrude a Marianna, dal romanzo alla vita vera

Ci siamo già imbattuti nel suo vero nome, Marianna De Leyva, nella parte del Grand Tour dedicata alle tracce meneghine del Manzoni. Per la precisione laddove si racconta di Palazzo Marino, l’attuale sede del Municipio di Milano, tra le cui stanze la donna è venuta alla luce il 4 dicembre 1575. Figlia di Virginia Marino e Martino de Leyva, il dramma di Marianna si consuma a pochi mesi dalla sua nascita, quando la madre muore e la piccola è affidata alle cure della zia, isolata in palazzo Marino. Tra il 1580 e il 1589 si collocano i fatti che segnano il suo destino: il tracollo della fortuna dei Marino, il nuovo matrimonio contratto dal padre in Spagna e le controversie con il fisco. Da questa situazione matura la decisione della famiglia di destinare Marianna alla vita claustrale. Destinazione, il monastero di Monza. L’entrata in convento segna l’abbandono del nome Marianna per assumere quello di Virginia Maria, in ricordo della madre che in realtà non ha mai conosciuto davvero. È tra il 1597 e il 1608 che si consuma la vicenda di passione e delitto legata all’incontro con Paolo Osio. I due concepiscono un bambino nato morto, poi una bambina, Alma Francesca Margherita, riconosciuta dal padre e da una madre diversa da quella naturale. Tra il 1606 e il 1607 si situano gli omicidi compiuti da Osio, che uccide gettandola in un pozzo la giovane conversa Caterina da Meda, pronta a svelare la tresca al cardinale Borromeo, e poi ancora il contabile di Suor Virginia e uno speziale. Osio viene condannato a morte in contumacia. Fugge a Milano dove trova rifugio presso amici, i nobili Taverna che ben presto però lo tradiscono per interessi politici. Viene ucciso nei sotterranei del loro palazzo e la sua testa mozzata consegnata al Governatore di Milano Fuentes. Virginia su ordine del cardinale Federico Borromeo è reclusa presso il monastero delle benedettine di Sant’Ulderico, dette monache del Bocchetto, a Milano. Lì parla in modo diretto del suo rapporto con Gian Paolo Osio, che vive nella casa di fronte al monastero di Santa Margherita, e dei tanti crimini legati a questo amore proibito. La deposizione al processo è del 22 dicembre. «[…] finalmente stando io assentata sopra il basello della prima porta esso Osio mi violentò gettandomi per terra, e nonostante ch’io gridassi e dicessi ah traditore, ah traditore hebbe comertio contro di me dicendoli ah l’onor mio, dicendoli la mia verginità racordatevi chi io sono, et insomma lui hebbe comertio carnale meco una volta sola perchè subbito ch’io porti rihavermi e levar su corsi via e lo piantai lì. […] Le detta sor Ottavia e sor Benedetta non mi diedero alcuno aiuto non so perchè». Eccola la vera voce di Marianna De Leyva, nella deposizione del 22 dicembre 1607 come imputata al processo per la violazione della clausura e l’omicidio di una monaca nel monastero di Santa Margherita in Monza, commessi da Gian Paolo Osio. La sentenza arriva nel 1608, dopo due deposizioni strazianti: Virginia è condannata a essere murata in cella presso il convento delle convertite di Santa Valeria che accoglie meretrici e religiose macchiatesi di colpe simili. Dopo 13 anni di isolamento le viene concessa la libertà e la ripresa della vita conventuale. Dal 1625 si susseguono le lettere inviate al cardinale Borromeo che attestano un pentimento sincero. Muore nel 1650 all’età di 64 anni.