Ora spostiamoci nei rioni alti di lecco, lungo la strada che da Germanedo conduce a Olate, per cercare il luogo dove avviene l’incontro di Don Abbondio con i Bravi. È un altro degli episodi maggiormente impresso nella mente di ogni lettore. «Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora».
Oltrepassata una curva, il curato percorre la strada sino a un bivio alla cui confluenza è posto un tabernacolo. Qui vede due uomini che sembrano aspettare qualcuno, il primo seduto a cavalcioni sul muretto, l’altro in piedi, appoggiato al muro opposto della strada. Indossano una reticella verde che raccoglie i capelli, portano lunghi baffi arricciati all’insù e due pistole attaccate a una cintura di cuoio. Don Abbondio li riconosce immediatamente come individui appartenenti alla specie dei bravi, sgherri che al servizio di qualche signorotto locale. Ed ecco il brano con la celebre frase: «Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.
– Signor curato, – disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia.
– Cosa comanda? – rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
– Lei ha intenzione, – proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia, – lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!
– Cioè… – rispose, con voce tremolante, don Abbondio: – cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi… e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere; e noi… noi siamo i servitori del comune.
– Or bene, – gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, – questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai».
Nella toponomastica di questi rioni lecchese spadroneggiano i nomi manzoniani: ci sono la Salita dei Bravi, via Renzo, via Agnese, via Perpetua. Secondo molti, la stradicciola che percorre Don Abbondio si può identificare con quella che adesso sale dall’attuale rotonda in Viale Montegrappa. Il tabernacolo, nei cui pressi il pavido don Abbondio subisce le minacce dei bravi di don Rodrigo, si troverebbe in via Tonio e Gervaso. È ricostruito e non ospita alcuna raffigurazione pittorica, una targa ripropone il passo del romanzo.
Tabernacolo dei Bravi
Via Tonio e Gervasio
Olate, Lecco