072. Dal Foppon a San Carlo al Lazzaretto, la città rimossa - Grand Tour nel cuore della Lombardia

Dal Foppon a San Carlo al Lazzaretto, la città rimossa

Da qui in avanti ripercorriamo i luoghi evocati ne “I promessi sposi”. La geografia del romanzo è da sempre un tema intrigante per gli studiosi e i lettori. Tutta la vicenda si svolge nello spazio di qualche decina di chilometri, tra Lecco, Monza, Milano e Bergamo, ma l’autore sembra evitare di proposito alcune precisazioni geografiche. Una su tutte, qual è esattamente il paese dei due promessi sposi? Molti cultori dell’opera si sono prodigati nel tentativo di fare chiarezza, tuttavia alcuni aspetti restano incerti. Chi è intenzionato a compiere indagini approfondite può leggere i molti libri dedicati all’argomento, qui proponiamo itinerari milanesi, lecchesi, brianzoli e monzesi senza l’ambizione di sciogliere gli ultimi dubbi, ma solo con il desiderio di avvicinare o riavvicinare gli abitanti dei dintorni, per i quali i luoghi manzoniani costituiscono l’amato scenario familiare, ma anche i lombardi, gli italiani tutti e pure i tanti turisti stranieri che frequentano le zone e i dintorni.

La prima tappa milanese ci porta nella zona di Corso Buenos Aires, trafficata arteria dello shopping dove si respirano i proverbiali ritmi frenetici meneghini e pare quasi impossibile rinvenire tracce di storie lontane, eppure non è così. La strada è voluta dall’imperatore Giuseppe II d’Austria e il suo atto di nascita risale al 1782. All’epoca si chiama Corso Loreto, perché nei suoi pressi sorge un santuario dedicato a Santa Maria di Loreto, prende l’attuale denominazione in concomitanza con l’Esposizione Universale del 1906. Il cambio di nome è caldeggiato dall’amministrazione comunale, che mira a dare un’immagine più internazionale della città. Corsi e ricorsi storici. La scelta vuole anche omaggiare i primi due paesi che aderiscono all’evento, l’Argentina e il Perù. In quel periodo nascono anche Piazza Lima e Piazza Argentina.

Corso Buenos Aires è da tempo definito un immenso centro commerciale a cielo aperto, qui si trovano grandi magazzini, negozi, ristoranti, bar, gelaterie, ma è sufficiente prendere una delle tante vie che si allungano in direzione dell’area Repubblica-Stazione Centrale per entrare in altre dimensioni. È qui che nel 1488 Lazzaro Palazzi progetta il Lazzaretto. Il suo aspetto è simile a una fortezza, con mura e fossato lungo tutti i margini per isolarlo dal resto della città. A costruzione ultimata occupa uno spazio di circa 160 mila metri quadrati, il suo perimetro è lungo quasi due chilometri. Per rendersi conto della vastità oggi occorre percorrere a piedi il quadrilatero compreso fra Corso Buenos Aires, Via Vittorio Veneto, via Lazzaretto, via San Gregorio.

Lungo quest’ultima strada all’epoca trova spazio il cimitero di San Gregorio, confinante col Lazzaretto e destinato a ricevere i suoi morti. Per i milanesi di allora è il “Foppon”, cioè grande foppa o grande buca. Nel vastissimo cimitero vengono seppellite tutte le vittime dell’epidemia del 1576-77, passata alla storia come peste di San Carlo poiché l’arcivescovo Borromeo si prodiga in prima persona per contrastarla e soccorrere gli ammalati, e quella del 1629-33, detta peste manzoniana proprio perché ampiamente descritta dall’autore ne “I promessi sposi”. Dove un tempo c’era l’antico cimitero di San Gregorio oggi sorge la Chiesa di San Gregorio Magno. Edificata dal 1903 al 1908, su progetto dell’architetto Solmi con la collaborazione degli ingegneri De Micheli e Pirelli, sostituisce la cappella cimiteriale ben più antica ma caduta in disuso, al punto da essere adoperata come fienile verso la fine della sua storia. L’edificio a una sola navata viene gravemente danneggiato dai bombardamenti del 1943, in realtà non è colpito direttamente ma alcune schegge provocano un incendio al suo interno e il tetto va interamente distrutto. Della chiesa restaurata appare di particolare suggestione la cripta, solitamente è chiusa però nel periodo dei morti e in altre occasioni è visitabile. Lì sono conservate le lapidi di illustri milanesi sepolti nel cimitero di San Gregorio: Carlo Porta, Vincenzo Monti, Andrea Appiani. Insomma una specie di Piccolo Famedio di Milano. Insieme a loro riposano altre figure eminenti, uomini di lettere, di scienza e i caduti nelle varie guerre, da quelle napoleoniche a quelle del Risorgimento fino alla Grande Guerra.

Torniamo al Lazzaretto. L’area su cui insiste da secoli viene venduta nel 1881 dall’Ospedale Maggiore alla Banca di Credito Italiano. L’anno seguente quel che resta della struttura originaria è demolito per fare spazio a nuovi edifici previsti dal Piano Beruto, il primo piano regolatore di Milano. Quando i picconatori si mettono all’opera l’ospedale è a un soffio dal compiere quattrocento anni. Adesso possiamo solo immaginare il suo aspetto rileggendo le descrizioni che sono giunte fino a noi. All’interno delle mura erano ospitate 288 ampie camere destinate al ricovero dei malati. Volte a botte, doppie finestre, una sul muro esterno l’altra verso il portico, pagliericci e tanti comignoli che corrono sui tetti rendevano riconoscibile la struttura anche a distanza. Parte degli spazi ospitavano l’infermeria, i depositi dei medicinali, i convalescenti e i frati cappuccini che vi prestavano servizio. Due soltanto gli accessi, quello principale a sud, verso la città, l’altro sull’attuale via San Gregorio, dal quale si passava al cimitero e alla chiesa di San Gregorio al Foppone, distrutta nell’Ottocento. Al centro il Lazzaretto aveva anche una piccola cappella aperta su ogni lato, grazie alla quale tutti i malati potevano assistere alla celebrazione dell’Eucarestia. Originariamente in legno, viene sostituita in seguito da una nuova per volontà di Carlo Borromeo, progettata dal suo architetto di fiducia, Pellegrino Tibaldi. L’edificio è descritto alla perfezione dal Manzoni nel XXXVI capitolo de “I promessi sposi”, quello che, pur non essendo l’ultimo, avvia la storia al suo naturale lieto fine con Renzo che ritrova Lucia e Fra Cristoforo che scoglie il voto di quest’ultima, rimuovendo così il nodo principale che ostacola l’unione dei due promessi. «La cappella ottangolare che sorge, elevata d’alcuni scalini, nel mezzo del lazzeretto, era, nella sua costruzione primitiva, aperta da tutti i lati, senz’altro sostegno che di pilastri e di colonne, una fabbrica, per dir così, traforata: in ogni facciata un arco tra due intercolunni; dentro girava un portico intorno a quella che si direbbe più propriamente chiesa, non composta che d’otto archi, rispondenti a quelli delle facciate, con sopra una cupola; di maniera che l’altare eretto nel centro, poteva esser veduto da ogni finestra delle stanze del recinto, e quasi da ogni punto del campo. Ora, convertito l’edifizio a tutt’altr’uso, i vani delle facciate son murati; ma l’antica ossatura, rimasta intatta, indica chiaramente l’antico stato, e l’antica destinazione di quello».

Le sopravvivenze fisiche di tutto questo mondo di patimenti ai giorni nostri sono davvero poche. Dopo l’Unità d’Italia si afferma il mito della locomotiva, simbolo assoluto del progresso, al quale si deve inchinare pure il Lazzaretto, in realtà già destinato in parte a usi militari. Il nuovo viadotto ferroviario diretto alla prima stazione centrale, dal 1865 al 1930 collocata nell’attuale piazza della Repubblica, solo nel 1931 si trasferisce in piazza Duca d’Aosta, taglia in due l’area. Poi arriva la lottizzazione. Quel che rimane dell’antico ospedale, poche stanze, dal 1970 è sede della Chiesa Ortodossa dedicata ai santi Nicola e Ambrogio.  

La chiesa che si trovava al centro del Lazzaretto, invece, ha maggiore fortuna. Risparmiata dalle demolizioni del 1881, sopravvive tutt’oggi col nome di San Carlo al Lazzaretto, affettuosamente chiamata dai milanesi San Carlino. Di recente ha anche ricevuto attenti restauri, dopo decenni di abbandono. La titolazione a san Carlo, in luogo della precedente a san Gregorio, risale al 1884, come già spiegato in precedenza ciò avviene in ragione dell’impegno profuso dal Borromeo durante l’epidemia del 1527.

A ricordo delle vicende legate invece alla peste manzoniana restano anche i nomi delle strade circostanti. Lodovico Settala è il medico che riconosce e denuncia presto il contagio e s’impegna per contrastarlo. Alessandro Tadino, stretto collaboratore di Settala, durante l’epidemia è incaricato della sanità pubblica e il suo libro “Ragguaglio dell’origine at giornali della gran peste”, pubblicato nel 1648, è una delle fonti usate dal Manzoni. Lazzaro Palazzi, come già ricordato, è il progettista del Lazzaretto. Felice Casati è il padre cappuccino a cui viene affidato dal tribunale di sanità il compito di gestire l’ospedale nel momento più violento e drammatico del contagio.

Capita spesso, anche in maniera inconscia, di gettare lo sguardo sull’intitolazione di una via, più o meno conosciuta. Molte volte quei nomi non ci dicono nulla. Eppure nella toponomastica urbana è custodita la memoria storica di una città e della sua comunità, che può svelarsi a chiunque. Basta solo un poco di curiosità.

 

San Carlo al Lazzaretto

Largo Fra Paolo Bellintani 1

Milano

santafrancescaromana.it

 

Chiesa Ortodossa Santi Nicola e Ambrogio

Via San Gregorio 5

Milano