053. Capolavori caseari dal cuore della Lombardia - Grand Tour nel cuore della Lombardia

Capolavori caseari dal cuore della Lombardia

Il cuore della Lombardia, dicevano i contadini, è buono per fare cose. Cose gustose naturalmente, come i formaggi. Le tradizioni legate al mondo dell’arte casearia e della zootecnia in Valsassina hanno radici antiche e investono innumerevoli aspetti di questo mondo ricco e particolare che vanno dalla gestione degli alpeggi all’allevamento fino alle tecniche di caseificazione. Questa valle ha una densità senza pari di tradizioni e storie casearie che raccontano l’evoluzione del caseificio moderno lombardo e italiano nonché la diffusione su scala nazionale e internazionale di prodotti quali il gorgonzola e il taleggio senza dimenticare il ruolo sul mercato regionale di altri formaggi quali i caprini e il grasso d’alpe. E preserva un patrimonio di saperi sensazionale. Non si deve infatti scordare che a lungo, praticamente fino all’Ottocento, le pratiche relative alla cura del bestiame, alla riproduzione animale e alla lavorazione del latte sono custodite e tramandate, alla stregua di saperi esoterici, di padre in figlio. L’attività casearia portata a perfezionamento dai bergamini transumanti per secoli tra la valle e le campagne del milanese, pavese e lodigiano conosce una straordinaria fioritura tra il 1880 e il 1930 quando, soprattutto nei momenti migliori, alla vigilia della grande guerra il 14 per cento del formaggio italiano nasceva o transitava dalla valle.

La filiera lattiero casearia della Valsassina, comparto agroalimentare che è stato ed è ancora alla base dell’economia locale, ha generato realtà aziendali come Locatelli, Galbani, Invernizzi, Cademartori, protagonisti nella produzione di formaggio in Italia e anche fuori dai confini nazionali. Non tutti difatti sanno che tutti questi nomi sono accomunati dalle origini valsassinesi. La loro fortuna è l’esito di una singolare mescolanza di tradizioni, intuito, spirito di indipendenza e visione. Solo così dei bergamini lattai, quali sono all’origine, hanno potuto creare marchi famosi nel mondo. La superiorità delle piccole e medie imprese italiane deriva in parte anche da queste solide famiglie contadine patriarcali in cui matura nel tempo un’alta capacità organizzativa e un’inclinazione alla flessibilità. Nell’ambito dei tanti piccoli caseifici di pianura gestiti dai bergamini provenienti dalle valli lecchesi, in origine chiamati semplicemente a lavorare nelle cascine portando la loro esperienza, sono emersi veri e propri capitani di industria. È Ballabio in particolare l’enclave da cui partono le maggiori storie. Qui nel 1880 Egidio Galbani decide di sfruttare la tradizione casearia per intraprendere un’attività capace di superare i confini locali. Convinto della bontà dei formaggi prodotti nella sua terra, comincia a commerciare stracchini e quartiroli locali, dopo averli fatti stagionare in Valsassina. Non manca di introdurre nuove specialità, come la Robiola Galbani, con le ha grande fortuna. Nel 1906 apre a Melzo il primo stabilimento caseario con impianti moderni, in corrispondenza della ferrovia. Quindi crea il famoso “Bel Paese”, prendendo in prestito il titolo del libro dell’abate Antonio Stoppani, altro illustre lecchese che a sua volta si rifà ai celebri versi danteschi del canto XXXIII dell’Inferno: «Ahi Pisa vituperio delle genti / del bel paese là dove ‘l sì suona». Nel 1920, con l’espansione delle vendite all’estero, Svizzera e Germania in testa, la piccola impresa familiare diventa una società per azioni. In realtà già nel 1926, il Galbani abbandona la sue ditta, che mantiene il nome del fondatore sebbene è gestista dai fratelli Invernizzi, altra famiglia con radici in Valsassina. E proprio a Melzo, poco distante dalla Galbani, Giovanni Invernizzi , figlio di bergamini, nel 1914 apre un’altra ditta destinata a diventare celebre. Nel 1925 alla guida della ditta subentra il giovane Romeo che imprime un deciso impulso all’azienda. È lui insieme al cugino Remo a lanciare memorabili campagne pubblicitarie, quella per intenderci che hanno per protagonisti mucca Carolina, toro Annibale e Susanna tutta panna, autentici star del Carosello. Perché va detto che questi uomini, partiti dalla transumanza praticata dalle famiglie di estrazione, a cui si devono molte delle innovazioni che fanno la fortuna dell’industria casearia italiana, sono anche maghi del marketing quando questa espressione non è ancora di moda. A Melzo, per inciso, operano nel frattempo almeno altri sei piccoli caseifici Invernizzi, altro elemento importante per comprendere quanto concorrono le famiglie della Valsassina a sviluppare questo mercato.

Sempre a Ballabio, nel 1860, nasce la ditta di Mattia Locatelli, che al principio si limita a una modesta attività di stagionatura del Gorgonzola. In pochi anni però allarga la sua sfera d’azione a tutta la Lombardia ampliando la gamma di formaggi prodotti e già alla fine dell’Ottocento apre succursali a Londra e perfino a Buenos Aires. Nei decenni seguenti apre nuovi caseifici in Emilia, Piemonte e Lazio. 

Questi celebrati marchi del caseificio italiano, tutti nati da famiglie di bergamini, sono finiti nelle mani dei francesi. Tuttavia la Valsassina continua a rappresentare un distretto caseario che comprende grandi, medie e piccole aziende, agricole ed agroalimentari, in relazione con strutture produttive della pianura ma anche una serie di caseifici di azienda agricola e non pochi alpeggi con trasformazione del latte vaccino e caprino. La storia degli anni gloriosi della nascita del caseificio è testimoniata non solo dalle casere realizzate a cavallo tra ottocento e Novecento, alcune ancora utilizzate, altre diroccate o trasformate in altri usi, ma da aziende tutt’ora vitali e dinamiche. Per valorizzare la filiera lattiero-casearia del territorio è nato il marchio “Valsassina: la Valle dei Formaggi – Slow Life & Food”, lanciato da dieci Comuni della Valle, Cremeno, Ballabio, Barzio, Cassina, Introbio, Moggio, Morterone, Pasturo, Premana, Primaluna, e dalla Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino e Riviera con il supporto delle aziende casearie Cademartori, Carozzi, Gildo, Ciresa, Invernizzi Daniele e Mauri. L’intento non è soltanto quello di valorizzare le tradizioni e le aziende del territorio ma anche quello di promuovere in chiave turistica la Valsassina, anche grazie agli itinerari che ci collegano alla bergamasca, a Morterone e alla via del Bitto. Sulle orme di antiche vie di transumanza, commercio, trasporto di materie prime oggi prende forma un sistema di percorsi ideati per favorire un’esperienza turistica ricca che sposa alla perfezione gli orientamenti di un turismo di scoperta dolce o slow, arricchito da stimoli culturali, ambientali, gastronomici proponendo itinerari adatti anche ad escursionisti non esperti e non particolarmente allenati. Ciò grazie alla presenza di una fitta rete di sentieri e di rifugi e anche di tre impianti a fune, funivie Barzio – Piani di Bobbio, Moggio – Piani di Artavaggio e Margno – Pian delle Betulle, che permettono anche di allargare la fruizione escursionistica facilitando il raggiungimento della dorsale orobica occidentale.

 

 

valsassinalavalledeiformaggi.it