052. Alta Valsassina: una terra, un destino - Grand Tour nel cuore della Lombardia

Alta Valsassina: una terra, un destino

Ci sono luoghi che risuonano della storia stessa da cui sono attraversati. Luoghi che più di altri hanno saputo attingere dalla natura per tracciare il proprio destino e scrivere le proprie tradizioni. L’Alta Valsassina è uno di quei luoghi. Un lungo solco che si insinua tra lo spettacolare gruppo delle Grigne e le ultime propaggini delle Prealpi bergamasche, sovrastato dal Legnone e dal Legnoncino. Un fazzoletto di terra dominato dalla montagna fiera e maestosa, punteggiato da piccoli villaggi operosi che sembrano appartenere a un angolo di mondo perduto. La storia di queste valli ha origini remote. Fra le più antiche testimonianze figurano alcune tombe celtiche che hanno restituito, oltre ai resti di ossa umane, armi e utensili. I giacimenti minerari di Varrone, Artino e Lareggio svolgono un ruolo importante nella formazione dei primi nuclei stabili e per secoli costituiscono la principale fonte di sostentamento. Proprio in alta Valvarrone è rinvenuta quella roccia nera chiamata siderite, che riscaldata, al principio con metodi rudimentali, rilascia un massello metallico divenuto prezioso quasi quanto l’oro per la gente di queste montagne. I primitivi processi siderurgici rimangono pressoché inalterati per secoli. Si racconta che i Romani facciano lavorare gli Insubri nelle vene ferrose, tra fatiche non da poco. La siderite che affiora tra le rocce della Val Varrone e della Val Biandino è estratta a suon di mazze e scalpelli; quindi viene frantumata prima del trasporto e passata su piccoli fornelli per eliminarne le impurità più grossolane. Le tecniche di fusione sono ancora primitive. Perlopiù viene usato un forno a cumulo, ossia una catasta di minerale e legna ricoperta di terra. Non riuscendo a raggiungere temperature elevate, produce un ferro ancora non molto duro e poco resistente alla corrosione. Solo nel Medioevo, quando i mantici cominciano a essere azionati dalla forza idraulica, diventa possibile ottenere stati termici più alti nei forni. Allora sono abbandonati i forni a cumulo sulle montagne e le fornaci vengono trasferite a valle, lungo i torrenti. La forza dell’acqua è sfruttata anche per muovere i grossi magli impiegati nei lavori di battitura del metallo. La prima struttura fusoria per ferro in Valvarrone è documentata nel 1253: si tratta del forno della Soglia, a 1450 metri, sopra Premana, oggi la località è chiamata Forni, appartenuto alla famiglia Denti di Bellano. Poiché l’estrazione, la fusione e la lavorazione del ferro sono indispensabili per la fabbricazioni di attrezzi e utensili, ma soprattutto di armi, armature e strumenti bellici, la Valsassina e la Valvarrone acquistano un’importanza strategica nel Ducato di Milano, che nel Trecento raggiunge un momento di grande splendore sotto il governo dei Visconti. Nei primi decenni del secolo seguente, però, la Repubblica di Venezia espande i propri confini fino all’Adda e i milanesi perdono l’apporto minerario delle valli bresciane e bergamasche. Allora gli Sforza, divenuti nuovi signori di Milano dalla metà del secolo, decidono di incrementare la produzione della Valsassina. Si trovano nuove vene minerarie, si costruiscono altri forni e si trasportano a valle carri colmi di materiale grezzo, destinati alle officine della fiorente industria armaiola. Tra il 1490 e 1491, durante il suo primo soggiorno milanese, anche Leonardo da Vinci visita queste terre fornendone una descrizione incantata, già ricordata in altre parti del nostro Grand Tour ma che qui merita di essere riproposta: «In Val Sassina, infra Vimogno e Introbbio, a man destra, entrando nella via di Lecco, si trova la Trosa (il torrente Troggia), fiume che cade da un sasso altissimo, e cadendo entra sotto terra, e li finisce il fiume; tre miglia più in là si trovano gli edifizi della vena del rame, presso una terra detta Pra Sancto Petro, e ferro, e cose fantastiche». Quali sono le cose fantastiche che stupiscono il genio leonardesco? Forse la stupefacente natura delle Grigne, ma verosimilmente anche le miniere del ferro e le industriose fatiche ad esse associate.

A partire dal ‘500, forse anche prima, i mastri ferrai della Valsassina sono protagonisti di importanti flussi migratori verso Venezia, Verona, Carrara, Milano e altre città. Soprattutto a Venezia costituiscono un’importante colonia, e alcuni di loro diventano titolari di bottega o addirittura sovrintendenti di scuole e corporazioni. All’epoca i premanesi producono non solo armi, lame e forbici, ma persino i caratteristici pettini delle gondole.

Agli inizi del Seicento, la Valsassina diventa la zona di massima produzione del ferro di tutto il Ducato. Due importanti famiglie, i Manzoni di Lecco e Barzio e gli Arrigoni di Introbio, controllano l’intero ciclo produttivo: dalle miniere alla fonderie fino alle officine, dove si fabbricano anche archibugi e palle da cannone. Hanno molti dipendenti, forti mezzi economici e solidi agganci politici, amministrativi e giudiziari. Ma durante la dominazione spagnola l’attività mineraria entra in crisi: mentre poche famiglie si arricchiscono grazie alla gestione delle miniere e dei forni fusori, il governo centrale non sa avviare alcuno stimolo per favorire il commercio dei prodotti provenienti dall’alta Valsassina. Nonostante l’introduzione della polvere da sparo, che facilita l’estrazione del minerale, il prelievo diminuisce. Occorre l’intraprendenza e l’organizzazione degli austriaci per invertire la rotta: sotto la dominazione asburgica sono aboliti i dazi interni sul trasporto del minerale e incrementati i forni. Si realizza inoltre una nuova via di accesso alle miniere, la cosiddetta “strada di Maria Teresa”, e sono stabiliti premi per la scoperta di nuovi filoni metalliferi. Questi ultimi, però, si rivelano poco interessanti. Le miniere più redditizie rimangono quelle antiche: Sciotta Bassa e Alta, Dissello, Baita Nova, Petazza, Pizzallo, Sant’Anna, Madonna, Tedesca, La Croce, Sollivo, Lago di Sasso e Artino. Nel 1789, l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo avoca allo Stato le concessioni minerarie ed emana leggi per tutelare il patrimonio boschivo, messo in serio pericolo dai tagli indiscriminati eseguiti per alimentare i fuochi delle fucine. Ma la produzione è ormai destinata a esaurirsi: il materiale estratto è insufficiente alla richiesta del mercato e soprattutto non è più in grado di far fronte alla concorrenza straniera. L’assenza del carbon fossile, divenuto indispensabile per il funzionamento dei forni, penalizza le vallate prealpine. Così, proprio in piena Rivoluzione industriale l’attività mineraria della Valsassina declina: l’ultimo forno premanese chiude nel 1846 e pochi anni più tardi si abbandonano anche le vetuste miniere della Valvarrone.

Oggi questa lunga e importante tradizione perdura nella produzione degli articoli da taglio, nella quale Premana e il territorio circostante continuano a eccellere in tutto il mondo. La storia mineraria è inoltre ricordata grazie al Museo Etnografico di Premana, fondato nel 1974. Raccoglie una ricca collezione di oggetti, utensili, vestiti, attrezzi di uso comune a testimonianza della cultura agro-pastorale e della vita economica tipica di questa comunità. Nella Sala del Ferro si ripercorrono le tappe storiche della lavorazione di questo metallo nel territorio di Premana. Nella Sala del Costume sono esposti i costumi tradizionali, gli attrezzi per la tessitura, i manufatti del lavoro femminile ed è ospitata la ricostruzione di una cucina tipica. La Sala dell’Agricoltura raccoglie invece gli oggetti utilizzati dal contadino di montagna per lavorare i pendii, per coltivare la segala, per accudire a capre, pecore e mucche. Al centro della sala è stata costruita una casinè, il locale adibito alla trasformazione del latte.

 

Museo etnografico di Premana

Via Roma 18

Premana

museo.premana.lc.it