Non sarà certo un caso se due dei tre più popolari libri dell’Ottocento italiano chiamano in causa l’Adda. Oggi perlopiù dimenticato, Il Bel Paese (1876) di Antonio Stoppani è il capolavoro della divulgazione naturalistica italiana. Il suo successo è tale da diventare in breve tempo il terzo libro per numero di edizioni del XIX secolo, dopo I promessi sposi – nel romanzo del Manzoni la “voce” del fiume irrompe più volte – e Cuore di Edmondo De Amicis. Esemplare per chiarezza espositiva, il libro dell’abate Stoppani adotta un semplice espediente didattico per illustrare le innumerevoli bellezze e i paesaggi dell’Italia da poco unificata: ogni giovedì sera i bambini ascoltano con i genitori radunati attorno al camino i racconti di uno zio naturalista che ha viaggiato da un capo all’altro del “Bel Paese”. Alle XXIX Serate della prima edizione se ne aggiungono altre cinque in seguito, tra queste anche quella dedicata al Naviglio di Paderno e la rapida dell’Adda.
Ecco una selezione di brani ispirati dall’uno e dall’altra:
«Sono due le meraviglie: una il naviglio, ossia il canale navigabile nelle sue conche, meraviglie dell’arte idraulica; l’altra, la rapida dell’Adda, che è quasi una cascata, piuttosto una serie di cascate, meraviglia della natura».
«Ma per intèndere come le conche rappresentano veramente i gradini d’una scala, bisognerebbe vedere quel tronco maraviglioso di Naviglio che si chiama Naviglio di Padèrno, dove sopra un brève tratto, seguendo il corso dell’acqua, s’incontrano sèi conche, disposte l’una diètro l’altra sèmpre ad un livèllo più basso, sicché somigliano veramente, anche a guardarle, ai gradini di una scala, da cui si vedono le barche discéndere tranquillamente da un’altezza di 27 mètri e più, mentre l’Adda di fianco precipita giù a cascate e balzelloni».
«Pòi sèmpre quell’idolatria delle còse forestière, e quella noncuranza, quell’ignoranza delle còse nostrane, che sono una delle nòstre magagne più gròsse e più incuràbili. L’Adda non è anch’essa un fiume maestoso? Se non salta ad un tratto da un’altezza di 19 metri, non rotola forse le sue spume giù giù per una china di 27 mètri e più, sopra un corso di due chilometri e mèzzo?»
«È uno dei punti più bèlli; rupi, crepacci, cavèrna e macchie […] Le rupi, che si staccano più nude e sevère in mèzzo a quel caos, stupendamente arrotondate, e le parti lisciate della parete a picco, accusano ancora l’azione prepotènte di quell’antico ghiacciajo che per la via della Valtellina, riempito il lago di Como, fino a mille mètri sopra il suo attuale livèllo, scavalcò i còlli minori, premendoli e raschiandoli con una lima vigorosa, assidua».
«Qui tutto è natura; natura ancor vérgine, quasi altrettanto com’era quando i fiumi serpeggiavano non visti da òcchio di uòmo».
«Ora è un salto, un gorgo, un mare di spume; ora un rùdere ciclopico, che sfida nel mèzzo della corrènte la fùria delle onde».