Occorre tornare molto indietro nel tempo per risalire alle prime forme di impiego del ceppo dell’Adda, la pietra modellata dal fiume, una specie di calcestruzzo naturale, un cemento di calcare in cui sono rimasti imprigionati la sabbia e i ciottoli trasportati in pianura dalla furia di vetuste alluvioni, attraversa un lunghissimo periodo di tempo. Già gli architetti romani usano conci di questa pietra per costruire a Milano il teatro, l’anfiteatro e il circo. Il riutilizzo di elementi in ceppo è abituale durante il Medio Evo: blocchi sono stati rinvenuti nelle chiese di San Lorenzo e Sant’Ambrogio. L’impiego riveste una certa importanza anche per la costruzione della città Neoclassica nel tardo Settecento, mentre all’inizio del Novecento il ceppo è impiegato in modo diffuso negli zoccoli degli edifici. La sua importanza nell’architettura meneghina è testimoniata dall’architetto rinascimentale Vincenzo Scamozzi: «è una pietra giallastra tenera da lavorare; ma col tempo s’indurisce non poco, e diviene berettinaccia, ella è più comune, e usata delle altre in tutte le fabbriche, e cavasi nelle ripe d’Adda, e del Naviglio piccolo, per il quale ella si conduce a Milano».
L’attività estrattiva è cessata da tempo. Le principali cave di ceppo erano distribuite fra Trezzo e Canonica, presso la confluenza dell’Adda e del Brembo, dove si cavavano blocchi anche di cinque metri cubi.