A partire dal Cinquecento, la nobiltà milanese comincia a costruire eleganti dimore di campagna dove cercare scampo in estate dalle opprimenti calure della città. Due sono i luoghi prescelti: i navigli e la Brianza, dove l’aria fresca e salutare invitano a concepire un modo nuovo d’intendere la campagna dopo la fase accentratrice della piazza rinascimentale. È così che questi territori vengono punteggiati da monumentali ville, quasi sempre coronate da scenografici giardini, che col tempo vanno a comporre un patrimonio d’arte straordinario, forse una delle più eleganti e raffinate testimonianze della Lombardia. La villa è un’espressione architettonica squisitamente italiana, tanto da divenire uno degli elementi caratterizzanti dell’immagine che all’estero si ha del paesaggio artistico del Belpaese. E in certi luoghi più che in altri, le dimore storiche con i loro parchi hanno contribuito a plasmare il panorama conferendogli un’impronta d’eleganza e leggiadria che suscita l’ammirazione di tutto il mondo. Anche i navigli grazie alle nobili residenze aggiungono un altro valore alla loro fortuna. Quello della Martesana non sfugge a tale rito.
Oltre all’impegno garantito delle singole amministrazioni comunali, dal 2016 un progetto di riscoperta, documentazione e valorizzazione delle attrattività di questo territorio è portato avanti dall’Ecomuseo Martesana. L’associazione è impegnata a creare l’Atlante di tutte le attrattività presenti, catalogando e descrivendo il patrimonio materiale e immateriale, da quello storico alle vie d’acqua fino alle eccellenze enogastronomiche, per preservarne la memoria storica e le tradizioni locali e promuovendolo e condividendolo con la popolazione. Vi aderiscono i comuni rivieraschi, molte associazioni, imprese e istituti scolastici.
Le acque che “rendono eccellenti le praterie del Martesana” si dispongono come elementi preziosi per ospitare le “delizie in villa”. Così Cesare Cantù, che nella Grande Illustrazione del Lombardo Veneto cita Villa Alario “colle grandiose spalliere d’agrumi, le ampie fontane, i catini, la gran balaustrata a fogliami, vasi, obelischi, che fronteggia il naviglio, il quale lambisce il giardino”. Cernusco conta più case nobili, originariamente opere fortificate dei secoli precedenti, trasformate in ville nel Settecento. Villa Alari Visconti, raffigurata nelle splendide incisioni settecentesche di Marc’Antonio Dal Re raccolte in Ville di delizia, è certamente la più importante e imponente. Il disegno dell’architetto Giovanni Ruggeri poggia in principio su una lunga spianata che prosegue oltre il naviglio. Un’ampia corte frontale, cintata da ali di servizio, introduce alla residenza, affiancata da corti di servizio laterali. Prima casa di svago del conte Don Giacinto Alario, poi abitata da Francesco III Duca di Modena, che una volta nominato dall’imperatrice Maria Teresa Capitano generale e Amministratore della Lombardia la elegge come residenza per la villeggiatura, riceve più tardi pure l’interessamento degli arciduchi Maria Beatrice d’Este e Ferdinando d’Asburgo, che l’affittano nei periodi estivi dal 1772 a tutto il 1776, prima di far costruire la Villa Reale di Monza.
Sempre a Cernusco sul Naviglio si incontrano Villa Biancani Greppi, che s’affacciava sul naviglio con un imbarcadero posto al termine di un lungo viale alberato corrispondente all’attuale via Cavour, ora sede del Municipio, e Villa Uboldo, ispirata nella fronte principale verso il giardino al modello milanese di Villa Belgiojoso, poi Reale.
A Carugate, invece, sorge Villa Gallerani Melzi d’Eril. Risalente al tardo Quattrocento, l’edificio documenta la transizione da funzioni prettamente agricole a residenziali signorili. La sua fondazione pare sia dovuta a Fazio Gallerani, fratello di Cecilia, l’amante di Ludovico il Moro ritratta da Leonardo nella Dama con l’ermellino. Sono in molti a ritenere che la raffinatezza delle decorazioni che impreziosiscono la villa siano riconducibili alle maestranze della corte ducale. La proprietà passa, dopo la famiglia Gallerani, prima ai Caimi Meriggia, poi ai Giulini e infine alla famiglia Melzi d’Eril, a cui di deve la denominazione attuale. Merita una menzione Villa Beccaria Lattuada, a Gessate, un tempo residenza estiva di Giulio Beccaria, figlio del celebre Cesare, che tra i suoi ospiti può annoverare Alessandro Manzoni, Massimo d’Azeglio e Carlo Verri. Nella seconda metà del Novecento viene frazionata e venduta a diversi proprietari.
Gorgonzola porta il nome di quello che può essere considerato il secondo formaggio italiano più noto nel mondo. Pochi però conoscono la cittadina per il suo insieme urbano che è capace di regalare scorci di paesaggio suggestivi lungo il Martesana. Ancora ai giorni nostri il naviglio è l’elemento più caratterizzante del paese con ponti, slarghi e vedute. I monumenti e le case si specchiano nelle sue acque tranquille; il caratteristico ponte coperto nei pressi di Cà Busca, detta anche Villa Serbelloni, signori del luogo, o Sola Cabiati – sono i nomi delle famiglie che seguendo un asse ereditario esclusivamente femminile si sono succedute fino alla metà del Novecento – è ancora lì come un tempo; la storica alzaia che abbraccia il centro cittadino è ora percorsa a piedi e in bicicletta dagli abitanti e dai gitanti. Il rapporto con il canale è così stretto che perfino la chiesa parrocchiale intitolata ai Santi Gervasio e Protasio, progettata dal famoso architetto ticinese Simone Cantoni, viene inserita nella sua ansa insieme all’approdo e alla casa parrocchiale col giardino affacciato sull’acqua. A Gorgonzola, nella residenza dei Serbelloni nei secoli passati arrivano ospiti illustri, da Giuseppe Parini a Pietro Verri. Il pittore Emilio Gola, imparentato con i Sola Cabiati, ricorda che ancora ai primi del Novecento la sua famiglia è solita andare a Gorgonzola in barca, accompagnata talvolta da una piccola orchestra.
Inevitabile comunque tornare allo “stracchino di Gorgonzola”, che anche il marchese Antonio Marco
Busca, subentrato nella proprietà di Villa Serbelloni, è solito far spedire ad amici e conoscenti, anche celebri. Per esempio, il maestro Gioacchino Rossini, che ne è goloso, riceve regolarmente a Parigi le prelibatezze casearie dell’amico marchese, il quale si premura ogni volta di scusarsi in anticipo, timoroso che non siano giunte in condizioni ottimali a causa del lungo viaggio. Il nobile Busca non rinuncia a seguire da vicino le attività agricole che si svolgono sulle sue terre di Gorgonzola e che forniscono quella ricchezza di cui va tanto fiero.
Diciamo però la verità, ancora oggi non sappiamo con certezza quando si è cominciato a produrlo, più o meno tutti però concordano sul fatto che la sua storia nasce qui, a Gorgonzola. La leggenda vuole che, un giorno, un casaro distratto, complice l’innamoramento per una giovane, compia un errore durante la preparazione del caglio e mescoli quello del giorno precedente con il fresco. Il risultato? Un formaggio dall’odore sgradevole, contraddistinto da striature verdi, che sprigiona però un gusto unico. Subito conquista il palato dei locali, col tempo degli abitanti del pianeta. La storia, invece, ci suggerisce che nei prati di Gorgonzola, in autunno, giungono dalle valli bergamasche numerose mandrie a pascolare, le famose bergamine. Brucano con avidità l’erba nata dopo la terza falciatura, detta per questo quartirola. Ne consegue che qui si ammassa una grande quantità di latte e nasce il bisogno di trarne profitto. Da ciò la creazione dello stracchino. Il nome rinvia alla vacca stracca, cioè stanca per il percorso compiuto per giungere fino a Gorgonzola. È un formaggio grasso, fatto con latte contenente le parti burrose. Considerato il successo, i caseari lombardi cominciano a produrne sempre di più. Per conoscere il suo massimo successo occorre attendere gli inizi del Novecento, quando comincia a essere apprezzato soprattutto all’estero. Da questo momento in poi, s’impone con crescente attenzione sui mercati e nel 1996 guadagna la nomina di prodotto DOP dalla Comunità Europea.
Lasciamo Gorgonzola e riprendiamo a costeggiare il Naviglio della Martesana. È bene ricordare che
da Milano si può arrivare fin qui pedalando fuori dal traffico, lungo l’alzaia, ma anche con la Linea 2 della metropolitana, meglio se con la bicicletta al seguito, così che una volta scesi a una delle fermate, l’ultima è a Gessate, si possa poi proseguire in direzione dell’Adda.
A Inzago sono numerose le ville che ancora oggi aiutano a immaginare le delizie del paesaggio di un tempo: Villa Visconti, riedificata all’inizio dell’Ottocento, la settecentesca Villa Rey, Villa Vitali-Aitelli e, un poco più discoste dal corso d’acqua, Villa Facheris, Villa Brambilla, Villa Arrigoni e Villa Gnecchi Ruscone. A Inzago è possibile osservare anche una conca sul naviglio. Per secoli sul Martesana ne è attiva una soltanto, alla Cassina de’ Pomm, ma durante il ventennio fascista, quando la navigazione è già ridotta a poche merci, si decide di costruirne un’altra per alzare il livello nella tratta antecedente ed estrarre le acque per mezzo delle bocche di derivazione a fini irrigui.
Tra i monumenti eccellenti che s’incontrano lungo il Naviglio della Martesana occorre ricordare pure Monasterolo, piccolo borgo composto di chiesa con campanile, monastero, case per i fittavoli, bocchello per la presa d’acqua dal naviglio adiacente situato tra Inzago e Bellinzago Lombardo lungo l’alzaia. La sua fondazione viene fatta risalire al 1489 quale ospizio del convento milanese di Santa Maria Incoronata. Di particolare pregi è la chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie, disposta su due campate quadrate coperte da volte a crociera con un’unica cappella laterale dove spicca un affresco di notevole importanza, una Madonna del Latte attribuita da alcuni al Maestro della Pala Sforzesca e da altri a Bernardino Luini o alla sua cerchia, in ogni caso è chiara l’ascendenza leonardesca dell’artista che l’ha dipinta.
Ecomuseo Martesana
Presso Villa Daccò
via Badia 44
Gessate
ecomuseomartesana.it