020. Milano città d’acque - Grand Tour nel cuore della Lombardia

Milano città d’acque

Naviglio deriva dal latino navigium e significa nave, barca e anche navigazione. D’acchito sembra singolare che l’espressione evochi la Lombardia, terra notoriamente senza mare. Eppure proprio in questa regione, quasi mille anni fa, viene iniziato il patriarca di tutti i canali europei, il navigium de Gazano, divenuto poi Naviglio Grande. Da allora, la storia di Milano e del suo ducato scivola sulle acque dei canali, che diventano protagonisti dello sviluppo commerciale e agricolo nonché artistico e monumentale.

L’originaria Midland, ossia terra di mezzo, fondata duemila e cinquecento anni fa da alcuni popoli calati dalle Alpi, non è toccata direttamente da un grande fiume ma gode della vicinanza di numerosi corsi d’acqua che i suoi abitanti s’ingegnano presto a impiegare. Costruiscono canali, rogge e fossi perché l’acqua possa correre, salire, scendere, irrorare, trasportare e azionare magli. Poi, Midland diventa Mediolanum e i romani per difenderla creano un fossato di cinta. Lungo tale cerchia sono alzate numerose torri, in gran parte distrutte durante le invasioni barbariche. L’idea di isolare e fortificare la città col circuito delle sue acque è ripresa secoli dopo, quando Milano è costretta a difendersi dal Barbarossa. Viene scavato un nuovo fossato, includendo anche i quartieri sorti nel frattempo a meridione. La terra cavata è utilizzata per formare i Terraggi. Quindi si fanno convergere le acque del Seveso, dell’Olona del Nirone e di altri rigagnoli vaganti per la città in un unico punto e di là si dispongono in modo da proteggere l’intera linea dei bastioni, per scaricarsi, infine, nella Vettabbia.

Da quella cerchia d’acque si dirama nei secoli il sistema dei navigli, che proprio in Milano ha il suo epicentro. La data d’avvio dell’ingegnosa, ardita e complessa operazione è stabilita convenzionalmente nel 1179, anno in cui, parte l’escavazione del Naviglio Grande. Il canale, derivato dal Ticino nei pressi di Tornavento, è sviluppato in direzione sud-est. Dopo soli otto anni, raggiunge Trezzano e nel 1209 arriva alla darsena di Porta Ticinese. Una completa navigazione diventa possibile solo alla fine del Duecento, allorché sono conclusi i lavori d’abbassamento e allargamento del fondo. Milano, a quel punto, è collegata al Lago Maggiore. Perché i barconi possano portare i marmi provenienti dalle valli sovrastanti il Verbano fino al Duomo, è però necessario inventare le conche. Il sistema prevede una camera di comunicazione fra tratti posti a livelli diversi, munita di due porte. Mediante l’apertura e la chiusura delle paratoie si regola la profondità dell’acqua, così da consentire alle barche di superare il dislivello e procedere. Grazie alle conche, il Naviglio giunge fino a piazza Santo Stefano, di fianco alla cattedrale. L’innovativo congegno idraulico, primo in Europa, rivoluziona i trasporti. La Conca di Viarenna rimane in funzione fino al 1929, anno in cui è in larga parte tombinata, insieme a tutti i canali interni. Oggi è visibile solo il breve segmento che dal bacino s’allungava alla fossa interna.

Al Naviglio Grande, nei secoli successivi, si aggiungono i Navigli della Martesana, Bereguardo, Paderno e, infine, il Pavese. La costruzione del Naviglio della Martesana è voluta da Francesco Sforza, che a metà del Quattrocento ne affida la progettazione a Bertola da Novate per collegare l’Adda a Milano. È il primo canale pensato in funzione sia della navigazione sia dell’irrigazione. Nella roccia di ceppo, lungo l’argine destro del fiume, a poca distanza del castello di Trezzo, viene derivato il nuovo corso artificiale che in soli sette anni conduce le acque in città. In quel tratto l’Adda scorre ancora incassata in una valle stretta, che si apre in modo definitivo solo più a meridione, dopo la confluenza con il Brembo. Per costruire il canale si deve quindi scavare nel fianco della valle, sfruttando piccole rotture di pendio e conquistando con riporti e sostegni lo spazio per realizzare la strada alzaia. Solo dopo aver superato questa scarpata, il Naviglio inizia a scorrere al piano campagna fino a raggiungere Milano. In un primo tempo si ferma alla Cassina de’ Pomm. È Ludovico il Moro a ordinare di congiungere il nuovo canale con la cerchia interna, come già avvenuto col Naviglio Grande. Occorre affrontare un discreto dislivello, ma ormai, dopo la costruzione della Conca di Viarenna, la soluzione è chiara. Per consentire l’ingresso del Martesana in città sono realizzate le Conche dell’Incoronata e di San Marco. Da quel momento, la capitale del Ducato è in comunicazione anche con l’Adda.

I Francesi, nuovi padroni del Ducato dalla fine del 1499, ampliano il disegno e chiedono di risolvere la continuità della navigazione tra Milano e il Lago di Como. Affidano il compito proprio a Leonardo da Vinci, rientrato a Milano dopo otto anni di assenza. Due sono le soluzioni che esplora: la prima prevede il collegamento attraverso il Lambro e i laghi brianzoli, ma questa ipotesi non supera mai lo stadio del semplice rilievo. La seconda, invece, propone di rendere navigabile il tratto dell’Adda interessato dalla rapide che, dopo Paderno, in meno di tre chilometri scendono di quasi trenta metri formando cascate, rapide, salti e gorghi. Leonardo s’immagina di costruire un canale che si diparte dal fiume in località Tre Corni e procede in sponda bergamasca per aggirare la gola. Il progetto che prende piede invece viene concepito verso la fine del Cinquecento da Giuseppe Meda. È lui a mettere a punto l’invenzione del “castello d’acqua”. Prevede di deviare il fiume sempre ai Tre Corni, ma di realizzare il canale parallelo all’Adda sulla sponda opposta fino alla Rocchetta di Cornate, con un’unica, grande conca che dovrà smaltire da sola un salto di diciotto metri. La proposta suscita dubbi ed è ostacolata da ogni sorta di difficoltà, tant’è che alla fine viene accantonata. L’idea è ripresa solamente due secoli dopo dal governo austriaco di Maria Teresa. Il castello progettato dal Meda è sostituito da un’idea meno azzardata, che prevede sei conche con salti di circa quattro metri. Una volta percorso il Naviglio di Paderno, le barche provenienti dal Lario possono tornare al fiume nei pressi di Porto d’Adda, navigarlo per circa dieci chilometri fino a Trezzo, e lì imboccare il Naviglio della Martesana per essere condotte fin dentro Milano. Nel 1777, il nuovo canale è inaugurato: la città ormai è congiunta anche al lago di Como. Lungo questa nuova via, i prodotti siderurgici della Valsassina giungono direttamente alle botteghe degli artigiani milanesi, specializzati nella lavorazione del ferro. Il ricordo dell’ampia diffusione di quest’arte è conservata nei nomi di molte strade, quali le vie Spadari, Armorari, Speronari, Molino delle Armi.

A Bertola da Novate, progettista del Martesana, è tradizionalmente associato anche il Naviglio di Bereguardo, diramato nel Quattrocento dal naviglietto di Abbiategrasso e sviluppato verso mezzodì. Anche quest’opera è complessa e richiede l’impiego di ben dodici conche per raggiungere il castello di Belriguardo, favorito dai duchi di Milano che lì si recano per cacciare. Ma un lavoro così imponente e costoso non può essere realizzato solamente per il sollazzo ducale. Finché non è pronto il naviglio Pavese, completato agli inizi dell’Ottocento dopo ripetuti tentativi e fallimenti, il Naviglio di Bereguardo costituisce l’unica via per navigare da Milano al mare. In realtà, dal porto di Bereguardo, punto d’attracco per le imbarcazioni provenienti dal Po e dall’Adriatico, al castello, dove terminava il canale, c’è una distanza di oltre tre chilometri e le merci devono essere trasbordate via terra, prima di poter riprendere la navigazione. Tuttavia non c’è un’alternativa. Lungo questa via viaggiano merci preziose, provenienti da Venezia e dall’Oriente. Fra di esse c’è anche il sale, il cui commercio è oggetto di solenni trattati politici fra i dogi e i signori di Milano.

Per avere un accesso diretto al Po e all’Adriatico, che sostituisce la disagevole soluzione del Naviglio di Bereguardo, Milano deve attendere secoli. La necessità di un nuovo canale è avvertita fin dai tempi dei Visconti e un primo tronco in direzione di Pavia, detto navigliaccio, è scavato già nel Trecento. Ma il progetto del Naviglio Pavese, ripreso a fasi alterne nelle epoche successive, incontra difficoltà tali da ritardarne l’inaugurazione fino al 1819. Ultimo in ordine di tempo fra i canali navigabili lombardi, costituisce un’opera imponente, che richiede quattordici conche per superare un dislivello di quasi sessanta metri su una distanza di soli trentatré chilometri. Il nuovo Naviglio, nei primi anni dopo l’apertura, è solcato da battelli a vapore e imbarcazioni a vela che dal mare giungono fino alla darsena. Ma i trasporti terrestri stanno ormai per conquistare la supremazia sulle vie d’acqua. Come il Naviglio di Paderno, anche il Pavese è giunto troppo tardi. Il declino dei canali che hanno ridisegnato il paesaggio lombardo è ormai avviato.