135. Vip d’antan - Grand Tour nel cuore della Lombardia

Vip d’antan

Belle, sontuose ed eleganti, le dimore patrizie della Brianza, oltre che episodi architettonici di pregio, nel corso dei secoli sono anche centri di vita culturale e mondana. Autorevoli signori e raffinate padrone di casa si contendono ospiti illustri, per i quali sono dati sfarzosi ricevimenti e organizzate celebri feste. Nei saloni affrescati e nei giardini pettinati, si succedono figure charmant, che con il loro mito e il loro fascino carismatico e cosmopolita spesso rappresentano un modello da imitare. All’attrazione mondana si accompagnano anche l’impegno sociale e culturale, e seppure la presenza di salotti letterari, artistici e musicali rimane prerogativa della vita cittadina, non mancano episodi di rilievo anche fra le mura delle case villerecce.

Uno degli episodi che maggiormente finisce per animare la vita condotta nelle nobili residenze è il trasferimento della Corte reale a Monza. Seppure limitata al periodo estivo fino a ottobre, questa presenza conferisce nuovo lustro alla vita dell’aristocrazia milanese che villeggia in Brianza. La possibilità di ricevere i Reali nelle proprie dimore di campagna è uno stimolo ad abbellire e a trasformare le vecchie proprietà secondo il gusto dell’epoca. In quel periodo, le dame esibiscono con fierezza la “lettera”, spilla di diamanti recanti le iniziali della Regina concessa alle prescelte che prestavano servizio presso la Corte.

Naturalmente, la passione per i balli tradizionali, le feste private, i pranzi di gala e i ricevimenti in giardino, animano la vita dell’alta società milanese che ha eletto la fresca e verde Brianza quale meta prediletta per la villeggiatura già prima dell’arrivo a Monza dei sovrani. E da sempre è motivo d’orgoglio per i proprietari ospitare presso le proprie dimore camperecce donne e uomini di fama. Questa breve galleria di figure celebri s’apre con la rappresentante più eccentrica dell’aristocrazia milanese e lombarda, la marchesa Luisa Casati, nata da una famiglia nobile d’industriali d’origine austriaca, gli Amman, associa, seppure per breve tempo, il proprio nome a due dimore briantee, Villa Amalia a Erba e Villa Amman a Ello. Nel 1900, Luisa, rimasta orfana di entrambi i genitori a soli quindici anni, si unisce in matrimonio con il marchese Camillo Casati Stampa e si trasferisce nella dimora milanese del marito. Ben presto, però, la marchesa trova Milano troppo angusta e comincia a viaggiare tra le sue residenze preferite, Venezia, Capri e Parigi. Donna colta e stravagante, d’indubbio fascino, così come abbacina nelle opere dei numerosi pittori del suo tempo che la ritraggono, da Boldini a August John, e in quelle di fotografi, quali Man Ray e Cecil Beaton, Luisa Casati diviene in breve tempo una delle stelle più fulgide del bel mondo europeo. Per i primi trent’anni del ventesimo secolo, è musa ispiratrice, mecenate, amica e talvolta amante dei maggiori artisti dell’epoca, da D’Annunzio a Cocteau, da Marinetti a Kerouac. Celebre è il lusso delle feste ripetutamente offerte, così come sono ormai diventati mitici gli abiti disegnati apposta per lei da Léon Bakst dei Balletti Russi. La sobria Brianza non conosce in realtà la teatrale e stravagante marchesa, bensì la giovane Luisa Amman, che ancora attende d’entrare nella storia. La giovane ragazza che vive a villa Amalia e villeggia, di tanto in tanto, a Ello vive ancora a una distanza siderale da quella “opera d’arte vivente”, come ama definirsi lei stessa, che si abbiglia con pitoni veri al collo, passeggia con leopardi dai collari tempestati di diamanti e ostenta il suo attributo più straordinario: gli occhi, già grandi, perennemente bistrati fino a farli sembrare innaturali, enormi e sconcertanti.

Luisa Casati resta un caso curioso e isolato fra le nobildonne dell’epoca, nei cui confronti, come per una sorta di omertà, non è tuttora facile raccogliere commenti. Maggior peso per le sorti d’alcune dimore patrizie briantee hanno altre signore, colte, ricche e raffinate. Marichia Arese Lucini Pallavicino, ad esempio, lega il suo nome alla rinascita di Palazzo Arese Lucini, caduto in uno stato di parziale abbandono verso la fine dell’Ottocento. Nasce a Monaco di Baviera dal marchese Cesare, poi ambasciatore italiano, e da Antonia Barracco, di famiglia napoletana. Grande studiosa e amante di letteratura, s’applica anche al disegno. Nel 1875, sposa il conte Antonio Arese Lucini e comincia a prendersi cura dell’avita dimora, che riporta con passione all’antico splendore coadiuvata dall’architetto Achille Majnoni. È la presenza dei sovrani d’Italia nella residenza estiva di Monza a indurre la nobildonna ad eleggere il palazzo quale dimora di campagna della famiglia, proprio per essere vicina alla vita di Corte. Stringe rapporti epistolari con Quintino Sella, Arrigo Boito e Matilde Serao, frequentatori, come lei, del famoso salotto culturale di Vittoria Cima, oltre che col pittore Emilio Gola, che la ritrae, e con Gabriele D’annunzio. Scrive molto e di lei si conserva un’abbondante corrispondenza nell’archivio di casa Arese Lucini.

La frequentazione letteraria più celebre di Palazzo Arese Lucini, però, è quella di Ugo Foscolo. Il poeta, nel 1801, appena tornato a Milano da Firenze conosce Antonietta Fagnani Arese, moglie del conte Marco Arese Lucini, di cui s’innamora perdutamente. La nobildonna, bellissima secondo le cronache del tempo, fa molto soffrire il Foscolo, che in numerose lettere, raccolte da Giuseppe Chiarini nella biografia a lui dedicata, si rivolge alla giovane marchesa minacciando di abbandonarla se non addirittura d’ammazzarsi. La storia dura fino al marzo del 1803 e durante tutto quel periodo sono assai frequenti le visite del Foscolo nel bel palazzo di Osnago. Dopodiché, egli lascia che l’Antonietta passi alla storia con la celebre Ode all’amica risanata.

Per rimanere in tema di letterati, merita un cenno la settecentesca Villa Verri di Biassono. D’abitudine, i conti Verri v’arrivano in agosto e diversamente dalla maggior parte delle famiglie dell’aristocrazia milanese non danno feste. Nella loro villa conducono invece una vita semplicissima. La presenza dei famosi fratelli, Pietro e Alessandro, costituisce già da sé un evento. Amici del Beccaria, fondatori del periodico Caffè, l’uno, Alessandro, eccelle nella letteratura, mentre gli interessi dell’altro, Pietro, s’estendono anche all’economia e alla filosofia. Un terzo fratello, Carlo, ricopre ruoli di rilievo nella vita politica italiana dell’epoca. Del più giovane, Giovanni, cavaliere di Malta, anch’egli letterato, si è diffusamente parlato nella parte di questo Grand Tour dedicato ad Alessandro Manzoni e a sua madre, Giulia Beccaria.

Ospite illustre di Villa Greppi di Bussero, all’epoca però villa Casati, è Domenico Balestrieri, poeta in vernacolo del Settecento, amico del Parini, che scrive per la sua morte un sonetto in milanese, e dell’Imbonati. Da Casatenovo il Balestrieri vede il Gernetto, la villa di Lesmo che il conte Giacomo Mellerio commissiona a Gian Luca Della Somaglia. Lì, nel 1816, sosta Stendhal, che ricorda di avervi ammirato due statue del Canova. Lo scrittore francese viene in Italia per la prima volta nel 1800 al seguito dell’armata napoleonica e, negli anni successivi, vi torna ripetutamente. Nell’estate del 1818, intraprende un breve viaggio fra i colli e i laghi della Brianza, che annotò nel Journal. Durante il suo peregrinare visita la Rotonda del Cagnola e, sempre a Inverigo, Villa Crivelli. È ospite anche a Villa Cusani Traversi Tittoni, ma non durante il suo Voyage dans la Brianza. Al pari del Beyle, pure Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, si dedica a lunghi viaggi in Italia. Visita Milano e dintorni nel 1728 e nelle sue note si legge: «Il 3 ottobre sono stato a Omate a vedere il giardino che il principe Trivulzio ha fatto fare con molta spesa inutile. Ci sono delle terrazze, bei giochi d’acqua; mancano ancora la casa e i boschi. Da lì andai a Oreno, casa del conte Scotti, che si trova a un miglio o un miglio e mezzo di distanza. Molta graziosa la villa e graziosissimo il giardino. In fondo c’è un luogo delizioso per ricevere la propria amante e fare qualche festicciola».

Di Oreno e della larga e cordiale ospitalità del conte Scotti parlano le cronache della prima metà del Settecento, allorché, proprio al tempietto, il luogo ricordato da Montesquieu, viene offerto un pantagruelico banchetto al re di Napoli. E poi, ancora, è un susseguirsi d’ecclesiastici, importanti uomini di Stato ed eleganti dame. Dei molti incontri, ne ricordiamo uno in particolare, magari meno solenne di altri, ma certamente ispirato da intenti alti e nobili. Avviene il 12 maggio 1957. Il conte Gian Giacomo Gallarati Scotti raduna nella sua villa di Oreno numerosi ospiti per dibattere di un argomento a lui caro: la tutela dell’orso bruno sulle Alpi. Lo scopo è quello di costituire un sodalizio per la protezione dell’animale. All’incontro è presente anche Dino Buzzati, che pubblica poi un ampio e al solito fantasioso resoconto descrivendo il parco e il ninfeo: «Qui una volta suonavano orchestrine di liuti nelle notti d’estate o dopo la caccia i signori venivano a bere una bottiglia. C’è un’atmosfera di antichi svaghi». Sul libro di casa Gallarati Scotti il Buzzati disegna, con il suo ben noto stile, San Romedio a cavallo dell’orso, che diventa lo stemma del sodalizio. L’illustrazione è accompagnata da una dedica speciale al conte.

La galleria dei letterati non può dirsi conclusa prima di aver ricordato di nuovo villa Amalia. Rocco Marliani, che nei primi dell’Ottocento commissiona al Pollack la celebre dimora erbese, è solito godere dell’amicizia e delle visite del Monti e del Foscolo. Per tutto il periodo in cui l’avvocato milanese ne è proprietario, la dimora erbese diventa un crocevia d’artisti e letterati, fra cui, oltre ai già citati, vanno aggiunti Porta, Stendhal, Canova e Appiani. Villa Lurani Cernuschi a Cernusco Lombardone, invece, viene onorata della presenza di Giuseppe Verdi. Il maestro, intimo amico di Cecilia Greppi di Bussero, moglie del conte Francesco Lurani Cernuschi, è frequentatore assiduo della casa milanese dei Lurani, ma non manca di visitare anche la villa di Cernusco, dove peraltro è conservato ancora oggi il pianoforte con cui Verdi usa dilettare i presenti suonando brani delle sue celeberrime opere. Sempre a questa splendida residenza è associata la figura di Giuseppe Giocosa, una delle più forti personalità del teatro italiano del secondo Ottocento, autore drammatico, scrittore e librettista di Puccini per la Bohème, Tosca e Madama Butterfly.

Tornando alle nobildonne protagoniste delle dimore patrizie briantee, corre invece l’obbligo di ricordare donna Mina Sala Trotti Bentivoglio, Dama di Corte di Sua Maestà Margherita di Savoia. La nobildonna è molto legata anche a un altro personaggio cui spetta un posto d’onore nel panorama storico della vita lombarda, la principessa Cristina Barbiano di Belgiojoso d’Este Trivulzio, poiché suo padre, vedovo, ne sposa la figlia Maria. La Regina d’Italia e altri membri della famiglia Savoia visitano più volte villa Sommi Picenardi, allora ancora proprietà di Gerolamo Sala, marito di donna Mina. Nello stesso periodo, frequentano la dimora anche esponenti della Scapigliatura milanese, della cui amicizia si fregia il nobile Gerolamo, peraltro ultimo esponente della famiglia Sala. Difatti, la villa e i giardini passano in eredità, negli anni Venti, al nipote di donna Mina, il marchese Paolo Sommi Picenardi di Calvatone. Dopo le apparizioni ottocentesche dei Savoia, la villa di Olgiate Molgora riceve altre visite regali nel Novecento. Negli anni Sessanta, ospitato i Reali del Belgio, mentre in tempi ancora più recenti, nel 1992, è la volta della Principessa Margaret d’Inghilterra, che soggiorna nella bella dimora in occasione di un suo viaggio nell’Italia settentrionale.

Un altro edificio che può vantare presenze regali, perfino imperiali, fra le proprie pareti è Palazzo Arese Borromeo. Non appena terminata, la residenza diventa sede per cerimonie di grande impegno politico. Il caso più eclatante si ha durante il soggiorno milanese dell’Infanta Margherita d’Asburgo, sorella di re Carlo II e sposata per procura all’imperatore Leopoldo I. Le nozze sono rilevanti per due motivi: rinsaldano i legami fra i due rami degli Asburgo e costituiscono l’occasione per una strepitosa festa itinerante. Il 27 settembre 1665, durante il viaggio della futura imperatrice da Madrid a Vienna, viene organizzata in Casa Arese «una delle più sontuose merende ch’immaginar si possa». La festa è «qualificata da isquisita musica, e con bellissimi fuochi d’artificio, che non solo furono gustati e applauditi dall’immenso popolo concorso a vederli, ma dal rimbombo di tutto il cannone e moschetteria del Castello». Posta su di una loggia appositamente costruita, Margherita d’Asburgo ammira lo spettacolo e scende poi «divertendosi nell’amenità dei giardini circondati di vasi ardenti e di fuochi artificiali, e ripieni di fontane e di giuochi d’acque». Per tutto il Settecento, il palazzo è sede di una vita politico mondana di sfarzosa magnificenza: ricevimenti e cacce sono dati in onore d’illustri ospiti, quali il duca di Parma con la Duchessa e il Principe di Sassonia.

Altra presenza di lustro nelle ville della Brianza è quella di Eugenio di Beauharnais. Figlio di Giuseppina, prima moglie di Napoleone, e di Alexandre de Beauharnais, alla costituzione del Regno d’Italia è nominato viceré da Bonaparte e si trasferisce a Milano. Qualche anno dopo, la Consulta di Stato gli propone di acquistare palazzo Carpani, sul lago di Pusiano, e i terreni annessi, per consentire di eseguire a spese dello Stato le opere previste da un vecchio progetto messo a punto nel 1793 dall’avvocato milanese Luigi Diotti, col quale si pretende di trasformare il bacino lacustre, già alimentatore naturale del Lambro, in un grande serbatoio che trattenga nei periodi di piena le acque in esubero e le ceda, poi, nei periodi di magra, rendendo cosi regolare e costante il deflusso delle acque del fiume, con grande vantaggio di tutte le attività economiche. La proposta viene approvata dal Viceré nel 1809 e il palazzo diventa così la sua residenza estiva.

Del tutto singolare appare la sorte di villa San Martino a Arcore, destinata nel corso dei secoli a ospitare personaggi di rilievo nella vita pubblica italiana. Giorgio Giulini, acquirente della dimora e nonno di Giorgio, celebre storico del Settecento, ricopre una serie d’importanti cariche pubbliche tradizionalmente riservate all’aristocrazia, fra cui quella di senatore. Anche gli eredi sono figure di spicco: Cesare Giulini ricopre dal 1815 al 1819 la carica di podestà di Milano, il suo primogenito, Giorgio, fa parte della Reggenza provvisoria di governo durante il crollo del Regno italico e, a sua volta, il figlio, Cesare Giulini Della Porta, patriota liberale, partecipa al governo provvisorio di Lombardia. A metà dell’Ottocento, la villa perviene ai Casati, famiglia dell’antica aristocrazia milanese, il cui nome ricorre ripetutamente nelle vicende risorgimentali. Camillo Casati, che si è unito in matrimonio con Anna Giulini Della Porta, è fratello minore di due noti personaggi: Teresa e Gabrio. Teresa Casati è la moglie di Federico Confalonieri, patriota, animatore del “Conciliatore”, arrestato dagli austriaci e rinchiuso nelle prigioni dello Spielberg. Gabrio Casati presiede il governo provvisorio lombardo dopo le Cinque Giornate. Ministro dell’istruzione nel Regno di Sardegna, lega il suo nome alla riforma della scuola rimasta in vigore fino al 1923. Nel Novecento la villa appartiene allo studioso e uomo politico Alessandro Casati, importante figura del patriziato lombardo, uno dei protagonisti nelle vicende culturali e politiche dell’Italia dall’età giolittiana alla Resistenza. Agli inizi del secolo scorso, con Tommaso Gallarati Scotti e Antonio Aiace Alfieri fonda la rivista dal titolo giobertiano di “Rinnovamento”. Dopo la Prima Guerra Mondiale diventa senatore del Regno e nel 1924 succede a Gentile come ministro della pubblica istruzione. Dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, che segna l’inizio della dittatura, si dimette. Torna alla vita politica nel 1942, contribuendo a riannodare le fila dell’antifascismo e a preparare la caduta del Duce. Nella residenza di Arcore, il Casati è solito trascorrere lunghi periodi durante la bella stagione. Dal 1943, la villa diventa la residenza ufficiale della famiglia, dopo che i bombardamenti hanno reso inabitabile l’avita dimora milanese di via Soncino. In quegli anni, ospite abituale di villa San Martino è Benedetto Croce, affezionatissimo amico del conte Alessandro. L’attuale proprietario, com’è noto, è Silvio Berlusconi, prima imprenditore di successo e poi uomo politico, più volte Presidente del Consiglio. La residenza di Arcore negli ultimi decenni è sede di riunioni e incontri che segnano la vita politica italiana. Nei periodi in cui Berlusconi riveste la carica di Primo ministro, Villa San Martino è anche visitata da capi di Stato e autorevoli esponenti politici, fra cui si ricordano Francois Giscard d’Estaing e i coniugi Raissa e Michail Gorbaciov.