Montevecchia è la prima collina che incontra chi, venendo da Milano, muove verso la Brianza. Mentre la strada avanza, lasciandosi dietro il caos frenetico, a tramontana appare sempre più limpida la sagoma di una chiesina che sormonta un alto e vetusto poggio: è il seicentesco Santuario della Beata Vergine del Carmelo, un tempo popolare meta di pellegrinaggio. Questa chiesa seicentesca, incastonata in una teoria di pendici oltre le quali svetta il Resegone, costituisce forse la più popolare e commovente immagine di tutta la Brianza. È l’antica sede dell’Ordo Fratrum Beatae Mariae de Monte Carmelo. La pace immortale di questa sommità favorisce ancora la meditazione. Si accede alla chiesa mediante una scalinata di centottanta gradini posta tra due file di alberi. Una salutare salita per fare spazio all’elevazione della mente e, per chi lo desidera, dello spirito. A circa tre quarti la gradinata è attraversata da un sentiero pianeggiante che circonda ad anello il terrapieno dell’edificio sovrastante. Lì si incontra una Via Crucis composta da sedici edicole in pietra molera, ammirevole opera di uno scultore anonimo.
Il cuore dell’incantevole borgo di Montevecchia è una piazza che s’affaccia a strapiombo sulla sconfinata pianura velata da vapori azzurrini. Mario Soldati, un piemontese che nel suo peregrinare alla ricerca di vini genuini sosta più volte da queste parti, scrive: «È tra le più belle posizioni della Brianza: uno spalto altissimo, un balcone che si erge fuori dalle nebbie, e si affaccia diritto a sud; nelle giornate di vento, si vede dalla Cisa al Monte Rosa». Raggiungerla in una giornata tersa regala un’esperienza indimenticabile. Ricordate il Manzoni? «Quel Cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace…».
L’acciottolato della pavimentazione si sposa con le pietre e i muri degli edifici che s’affacciano sullo spiazzo. Da una parte, ai piedi della scalinata che conduce al Santuario della Beata Vergine del Carmelo, spicca Villa Agnesi Albertoni, fatta edificare da Alessandro Panigarola nel 1649, appartenuta poi ai Brivio e nel 1740 agli Agnesi. Il portale d’ingresso, il balcone di ferro battuto sovrastante, lo scalone della balaustra scolpita a ghirlande intrecciate a putti sono un chiaro riferimento al rococò. In questa casa soggiorna l’illustre matematica Gaetana Agnesi. Scrive Ignazio Cantù, autore nel 1837 di una preziosa guida turistica della Brianza: «Nella pace di questa vetta l’illustre Gaetana Agnesi elevava la mente alla soluzione de’ sublimi problemi onde facea meravigliare l’Europa, e poi, quando la gloria mondana si sfrondò per lei d’ogni sua lusinga, qui veniva a sentire più davvicino la presenza di quel Dio, che la riempiva di Lui». All’ingresso della residenza, nel 1899 i pronipoti conti Albertoni pongono una lapide in memoria della scienziata.
Sul lato opposto della piazzetta, in una delle posizioni più aeree della Brianza, si trova villa Vittadini, che spicca per l’elegante portale seicentesco. È costruita su un impianto originario cinquecentesco, anch’esso appartenuto ai Panigarola. Passata agli Archinti che ne detengono la proprietà fino al 1863, subisce diversi cambi di proprietà, fino ad arrivare alla famiglia Vittadini, che ancora oggi vi abita nella bella stagione. Portandosi davanti al bel portone d’ingresso dell’edificio e guardando verso sud si gode di uno dei più bei panorami della Lombardia: dai piccoli centri della Brianza che si allargano appena sotto la collina, la sguardo si allunga quasi a perdita d’occhio alla vasta pianura e, nelle belle giornate, fino a Milano. Se il cielo è terso, non è difficile intravedere i primi rilievi appenninici. La vista verso nord è chiusa dalla villa, ma basta spostarsi di un centinaio di metri per scoprire un nuovo panorama emozionante: il San Genesio e il Monte Barro e, più oltre, le Prealpi lombarde, mentre a ovest appaiono le cime della Svizzera e l’imponente mole del Monte Rosa. In prossimità della villa, parte un’antica mulattiera in discesa, che in qualche minuto conduce alla frazione Galeazzino, località nota per la presenza di una panoramica trattoria aperta nel lontano 1950.
Dal 1983 la collina è tutelata dal Parco di Montevecchia e della Valle del Curone. Un’oasi di pace che si offre a chi vuole conoscere un frammento di Brianza autentica. Appena fuori dai suoi confini si anima un paesaggio dinamico e in rapida trasformazione, ma l’area protetta è tutt’altra cosa: un cuore verde costituito da dolci declivi, terrazzamenti coltivati e folti boschi. Un connubio interessante tra elementi naturali e insediamenti umani. Percorrendo i suoi sentieri è facile imbattersi in notevoli esempi di architettura rurale. Oggi queste cascine tornano spesso a vivere come agriturismi dove non mancano gli agi della modernità, filtrati però da un profondo rispetto per le tradizioni e la qualità della vita. L’intero paesaggio è ancora fortemente contrassegnato dalle attività rurali, che occupano circa un terzo dell’area protetta e che dalla nascita del Parco hanno ricevuto nuovo impulso. Sui terrazzi, oltre ai tradizionali vigneti si sono acclimatate coltivazioni tipicamente mediterranee, quali la salvia e il rosmarino. Nella parte pianeggiante si allevano bovini da latte.
Occorre molta fantasia per immaginare com’era un tempo l’intrico impenetrabile di querce e carpini che dalle prime colline scendeva ininterrottamente fino alla pianura. Le selve residue restituiscono solo in minima parte quella suggestione. La loro natura non è più selvaggia e intatta, ma la magia non è svanita del tutto. Oggi una rete di sentieri permette di arrivare ovunque. Eppure qui è ancora possibile rivivere quell’obliato turbamento, misto tra eccitazione e paura, di essere persi nel bosco. Percorrere il dedalo di sentieri che attraversano il Parco è sicuramente il modo migliore per apprezzare la natura e il paesaggio e conoscere anche gli angoli più remoti. Come, per esempio, le colline della Riserva Naturale della Valle Santa Croce, cuore verde dell’area protetta. Qui si percepisce all’istante la sensazione di entrare in un luogo solitario, dove regna una serenità sovrana. All’imbrunire, quando il silenzio si fa assoluto, pare di essere improvvisamente caduti nella pace di un’altra età. Sopravvivono scorci fiabeschi, incastonati fra boschi, prati da sfalcio e vigneti. La presenza umana è discreta, proprio come secoli fa. Il borgo rurale di Santa Croce, ultimo nucleo abitato che s’incontra risalendo la valle, sembra immerso in una sospensione irreale. Spicca la Cappella, documentata già nel Duecento, che oggi purtroppo versa in cattive condizioni. Nel muro di recinzione è conservata un’iscrizione preromana, prova che la zona è abitata fin da tempi remoti. La facciata è scandita da partiture semplici: due lesene angolari in pietra squadrata, una finestra semicircolare e il frontone triangolare. L’abside semicircolare sembra appartenere agli elementi della primitiva cappella. Si narra che l’edificio sia stato fatto costruire da un cavaliere dopo che aveva preso parte a una delle crociate condotte nel Duecento. Ad avvalorare la tesi concorre l’affresco nell’abside, che raffigura Sant’Elena pellegrina in Terra Santa alla ricerca della croce di Cristo.
Ma torniamo agli itinerari escursionistici. Tutti sono segnalati con appositi cartelli, inoltre presso gli uffici del Parco è disponibile una carta dei sentieri che indica i principali punti di interesse naturalistico, gli edifici rurali e religiosi, le infrastrutture e i servizi offerti. Uno dei percorsi più affascinanti parte da Lomaniga, risale il versante meridionale del colle mediante una ripida mulattiera, passando per Cascina Casarigo, luogo ideale per una sosta ristoratrice, e attraversando i vigneti terrazzati. Una volta arrivati a Montevecchia alta, si può proseguire sul versante opposto e raggiungere Ca’ del Soldato in trenta minuti, seguendo un sentiero immerso in un fitto bosco di querce e castagni. Dal centro parco, per chi ha ancora gambe, si prende la Via del Bosco, un sentiero circolare che raggiunge il torrente Curone e lo risale fino alla località Deserto; da lì percorrendo a mezza costa il versante destro della valle, si passa per Ghisalba e si fa ritorno a Montevecchia. Il percorso completo richiede un’intera giornata, comprese le soste per rifocillarsi.
La tradizione turistica di Montevecchia si perpetua grazie soprattutto alla buona tavola. I vini locali, lodati già nel Settecento, sono oggi gli unici prodotti in Brianza. La tradizione dei formaggi e dei salumi gode, grazie anche alla presenza di trattorie e agriturismi, di un forte apprezzamento, ben testimoniato dal gran numero di persone che di domenica sale sulla cima del colle, disperdendosi poi tra i sentieri e i ristoranti. Qui si trovano deschi dai pochi fronzoli, locande minute e piacevolmente spartane, ambienti rustici e accoglienti immersi nei vigneti del Parco e infine anche tovaglie di fiandra e curata eleganza. Si possono assaporare piatti tipici e genuini della cucina brianzola, abbinati ai vini di produzione propria, e altri più ricercati, dove la tradizione viene rinnovata con creatività culinaria. Si parte però sempre dai prodotti locali. Dunque, riassumendo: si va a Montevecchia per ammirare il panorama. Oppure per scarpinare tra i boschi e i campi coltivati. O, ancora, per gustare i sapori della collina. Meglio ancora sarebbe per fare tutte queste cose insieme.
Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone
Località Butto 1
Montevecchia
parcocurone.it