Molte guide dedicate alla Lombardia sono introdotte da poche righe per spiegare che questa regione, nota per essere industriosa e densamente abitata, è pure bella. Il più delle volte generano nei lettori, soprattutto se lombardi non sono, un effetto contrario a quello desiderato. È curioso, ma esiste una sorta di pudore nell’affermare senza troppi indugi che la Lombardia possiede un capitale storico e naturale strabiliante. E sorprende molti sapere che essa possiede anche un patrimonio biologico tra i più ricchi d’Italia. Nel Bel Paese, ricco com’è di arte, cultura e bellezze paesaggistiche, non è affatto facile richiamare l’attenzione su uno specifico bene o un certo scorcio di territorio. È una gara tra panorami incantevoli, monumenti sublimi, opere immortali, prodotti eccellenti. E anche tra chi sa essere più convincente. La Lombardia offre il meglio di sé con discrezione. Elargisce una bellezza soffusa che va cercata e gustata con passo lento e animo curioso. Lo stesso si può dire dei suoi panorami, eccezionali eppure riservati, quasi timorosi di esibirsi in tutta la loro avvenenza. Eppure c’è un dato oggettivo che rivela quanta bellezza è custodita in questa regione: il numero di siti considerati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Ben dieci dei cinquantotto fin qui collezionati dall’Italia ricadono in Lombardia. Contando Patrimoni culturali materiali e immateriali, Città Creative e Riserve della Biosfera ammontano a ventuno i luoghi censiti. Ma non solo. È lombardo anche il primo sito italiano iscritto alla World Heritage Liste: l’arte rupestre della Valle Camonica. Queste meraviglie dell’arte e dell’ingegno umano, che spaziano dalla Preistoria al Novecento, ci danno l’esatta dimensione di quel che attende i visitatori. Due dei siti Unesco sono toccati dal nostro Grand Tour: il Villaggio operaio di Crespi d’Adda, tra i meglio conservati di tutta Europa, fondato a fine Ottocento dalla famiglia Crespi per i lavoratori del proprio opificio e per le loro famiglie, e il Cenacolo di Leonardo da Vinci, uno dei più alti capolavori dell’arte mondiale, riconosciuto Patrimonio dell’Umanità dal 1980 con la Chiesa e il Convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano.
Intendiamoci, la via della bellezza in Lombardia, come nel resto d’Italia, non si esaurisce tra i beni individuati dall’Unesco. Ci sono anche tanti tesori nascosti o poco conosciuti, insieme a luoghi di vasta notorietà, che invitano a mettersi in viaggio. Tutti insieme compongono una grande eredità diffusa, spesso amatissima dagli stranieri, ma paradossalmente a volte poco frequentata dagli italiani, forse proprio perché, abituati come sono al bello, danno per scontato l’inestimabile tesoro che possiedono. Questo Grand Tour nel cuore di Lombardia alla fine è proprio un invito a scoprire l’opera più emozionante: quella che sta attorno a tutti noi quotidianamente.
E allora, dopo avere viaggiato alla ricerca delle tracce leonardesche e manzoniane, evidenti e nascoste, ci rimettiamo in cammino per attraversare territori a tratti meno battuti dai percorsi turistici di massa, dove tuttavia si incontrano perle architettoniche e paesaggistiche di indubitabile valore. Si riparte appena a meridione di Lecco, dai laghi briantei e dalle dolci colline che li coronano, per arrivare fino a Monza, la città scelta dalla regina longobarda Teodolinda quale capitale del suo regno, dove è ancora gelosamente custodita la Corona Ferrea, prezioso gioiello di oreficeria del tardo periodo romano che attraverso lo scorrere dei secoli cinge la testa di Federico Barbarossa, Carlo V e Napoleone. È proprio il Bonaparte che il 26 maggio 1805, posandosela da solo sul capo, pronuncia la celeberrima frase: «Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca».
Del resto le teste coronate a Monza sono di casa. Il suo monumento più importante e noto è la Villa Reale, ideata dall’architetto Giuseppe Piermarini per l’Arciduca Ferdinando d’Austria, governatore della Lombardia, e divenuta in seguito residenza vicereale e regale. La sua costruzione, avvenuta tra il 1777 e il 1780, coinvolge ampiamente l’intero territorio circostante per tutti gli anni a seguire, imponendo scelte urbanistiche di grande respiro, come il collegamento viabilistico tra Monza e Milano, ma anche tra il centro storico cittadino e la nuova monumentale residenza, e soprattutto come il grande parco che all’inizio dell’Ottocento viene realizzato a nord della dimora e che ancora oggi caratterizza l’intero tessuto urbano. Altro elemento di forte interesse è costituito dal fatto che la Villa Reale finisce per diventare un modello da trasferire, anche se in scala più ridotta, ad altre residenze di nuova costruzione o ad edifici che vengono ristrutturati più o meno profondamente secondo i nuovi canoni estetici suggeriti proprio dalla casa “di campagna” del figlio di Maria Teresa d’Austria. La dimora arciducale monzese diventa insomma la pietra di paragone per lo sviluppo dell’architettura neoclassica in Lombardia, generando un processo di imitazione diffusa.
La Brianza, definendo con tale nome una regione dai confini mobili e duttili, del resto a volte perfino per gli stessi abitanti i meridiani e i paralleli di questa terra sono cedevoli cornici di un quadro fluttuante, rientra a pieno diritto tra le mete preferite dei viaggiatori d’antan. Il critico letterario Giuseppe Baretti pubblica a Londra, nel 1768, un’opera in due volumetti intitolata Dei modi e dei costumi d’Italia. L’intento è quello di invitare ed educare il viaggiatore straniero al Grand Tour italiano. In trentanove capitoli, tratteggia i motivi di maggiore interesse e la storia secolare del Bel Paese. Al capitolo XV – Carattere dei Milanesi e degli altri Lombardi – compaiono alcune righe dedicate alla Brianza: «È il luogo più delizioso di tutta Italia per la varietà delle sue vedute, per la placidezza dei suoi fiumi, per la moltitudine dei suoi laghi, e offre il rezzo dei boschi, la verdura dei prati, il mormorio delle acque, e quella felice stravaganza che mette la natura nei suoi assortimenti». Ancora più famosa è l’opera di Stendhal intitolata Journal du voyage dans la Brianza, breve ma efficace resoconto del soggiorno compiuto dallo scrittore francese nell’agosto del 1818 che esalta la natura, i panorami, i laghi, i deliziosi giardini e gli occhi ammalianti delle donne del posto: «La sensazione del bello vi accarezza come spirante da ogni parte». Sempre nella prima metà dell’Ottocento, il barone Carl Czoernig, alto funzionario asburgico, osservando i luoghi dalla splendida collina di Montevecchia scrive: «I geografi chiamano giustamente l’Italia il giardino d’Europa e non meno giustamente la Lombardia il giardino d’Italia e la bellissima zona collinosa della Brianza il giardino della Lombardia». Carlo Cattaneo, intellettuale e pensatore lombardo ottocentesco, afferma che «la Brianza è un popoloso e ameno territorio della Diocesi di Milano, sparso di colline e laghetti e avvivato dalle correnti dell’Adda e del Lambro. Illaudato e inosservato dagli scrittori antichi, esso può ormai dirsi degno d’essere meta al peregrin del cuore e della mente al pari dei colli Euganei o Fiesolani, o Sorrentini o di qualunque altra più bella terra d’Italia». In effetti per lungo tempo la Brianza entra negli itinerari di poeti e scrittori, da Giuseppe Parini a Carlo Porta, da Ugo Foscolo ad Alessandro Manzoni, nonché di incisori e pittori. La settecentesca opera di Marc’Antonio dal Re Ville di delizia o siano palagi campareggi nello stato di Milano illustra un paesaggio campestre idilliaco, fondale perfetto alle meraviglie architettoniche che già allora la punteggiano con insistenza. I coniugi tedeschi Friedrich e Caroline Lose nel 1823 pubblicano il Viaggio pittorico nei Monti di Brianza, fissando le ville, i palazzi e i paesaggi briantei nella memoria collettiva attraverso delicatissimi e romantici acquerelli eseguiti da lui e incisi in acquatinta e colorati da lei. Seguono Mosè Bianchi, Emilio Longoni, Giovanni Segantini e tanti altri pittori che fermano nei loro lavori i segreti e lo spirito profondo di questa terra. Spirito che ci accingiamo a riscoprire passo dopo passo.