Sicuramente Gian Giacomo Caprotti è un interprete di Leonardo, che al pari di altri discepoli della prima ora contribuisce a propagare le invenzioni del maestro a un’intera generazione di pittori lombardi. I suoi contemporanei hanno un’opinione piuttosto alta delle sue capacità. Un ambasciatore di Isabella d’Este, nel 1505, lo definisce «zovane per la sua età assai valente». Tanto da chiamarlo per dare consigli al Perugino, che ha appena eseguito un lavoro poco gradito alla raffinata marchesa di Mantova. E qualora ella gradisca «qualche quadretto o altra cosa», informa sempre l’ambasciatore, «Salai haveria grand desiderio di fare qualche cosa galante per Vostra eccellenza»”. Giorgio Vasari, il primo biografo di Leonardo, tra gli allievi cita soltanto il Salaì: «ed a lui insegnò molte cose dell’arte».
Eppure la sua figura d’artista continua a essere ignorata da molti studiosi e critici, che preferiscono liquidarlo come un lezioso furfantello. Sul repertorio del Caprotti persistono arcani misteri. Pochi anni fa, però, si sono in parte sciolti lasciando filtrare una sciabolata di luce autentica. Nel 2013 la Pinacoteca Ambrosiana, dove già si conserva una versione del “San Giovanni Battista” attribuita per lungo tempo a Gian Giacomo, si arricchisce di un dipinto magistrale intitolato “Testa di Cristo Redentore”. Il noto imprenditore Bernardo Caprotti (l’omonimia è solo un caso) l’acquista nel 2007 durante un’asta di Sotheby’s a New York e quando decide di donarla all’istituzione milanese pretende che sia attribuito al maestro Leonardo. I vertici della secolare collezione invece decretano: no, è solo un Caprotti. Gian Giacomo, s’intende.
L’attribuzione dell’opera a Salaì viene avanzata già negli anni Venti del Novecento dallo storico dell’arte Wilhem Suida. Più di recente Maurizio Zecchini, dopo avere studiato in ogni dettaglio la tavola, riporta le sue considerazioni finali nel volume “Il Caprotti di Caprotti” aprendo nuove e appassionanti prospettive. Concluso l’accurato restauro, sulla tavola compare la scritta: “FE SALAI 1511 DINO”. È la firma che permette finalmente di attribuire al di là di ogni ragionevole dubbio un dipinto al Caprotti? Oppure l’iscrizione intende alludere al fatto che l’opera è esemplata sul volto del Salaì? In tal caso chi è l’esecutore dello stupefacente ritratto? In realtà tutti quanti dovremmo porci un’altra domanda: com’è possibile che una figura capitale nell’esistenza del più grande genio rinascimentale sia stata trascurata per quasi mezzo millennio?
Oggi la “Testa di Cristo Redentore” è esposta nell’Aula Leonardi dell’Ambrosiana, insieme all’unico dipinto su tavola del maestro rimasto a Milano, Il ritratto di musico, e altre opere dei pittori leonardeschi, da Giovanni Antonio Boltraffio fino a Bernardino Luini. La stanza si trova esattamente dove un tempo c’era l’Oratorio di Santa Corona, che Leonardo indica in una mappa del Codice Atlantico come il “vero mezo di Milano”, secondo i suoi calcoli infatti questo è il punto dove s’incontrano il cardo e il decumano dell’antica Mediolanum. Tra l’altro non è affatto inverosimile che egli stesso abbia più volte visitato il luogo. Tra il 1521 e il 1522, Bernardino Luini, con l’assistenza di collaboratori, esegue l’affresco che ancora oggi domina la sala. A partire dal 1584, lo spazio diventa un oratorio riservato alle celebrazioni dell’adiacente chiesa di San Sepolcro (da non perdere assolutamente la cripta, uno dei luoghi più antichi di Milano, riaperto al pubblico) e tale rimane fino agli inizi del XIX secolo, allorché è acquistato dall’Ambrosiana. Da allora assume diverse denominazioni: Sala dell’Incoronazione, Sala del Cinquecento, Sala Luini, infine Aula Leonardi. Qui sono conservate altre opere di Bernardino Luini, compresa la celebre Sacra Famiglia con sant’Anna e san Giovannino appartenuta al cardinale Borromeo, che come molte opere dell’Ambrosiana è requisita dalle truppe napoleoniche e condotta in Francia per poi rientrare a Milano nel 1815. Di notevole interesse anche la “Madonna col Bambino, san Giovanni e san Giovanni Battista” di Marco d’Oggiono, che s’impone agli occhi dell’osservatore per l’altissima qualità della composizione generale e delle singole figure, e un Ritratto di dama di Giovanni Ambrogio De Predis, l’artista che nel 1483, insieme con Leonardo da Vinci e con il fratello Evangelista, riceve l’incarico di realizzare una pala per l’altare di San Francesco Grande a Milano, oggi conosciuta come la Vergine delle rocce, si parla in questo caso della prima versione esposta al Louvre di Parigi.
Alla Pinacoteca Ambrosiana è custodito anche il disegno preparatorio per la Scuola di Atene di Raffaello, una delle opere pittoriche più importanti dei Musei Vaticani, l’affresco è situato nella Stanza della Segnatura. Vi starete domandando, che c’entra Raffaello? Molto, perché il giovane Sanzio manifesta una grande ammirazione per l’innovativa arte pittorica di Leonardo, che studia con interesse e attenzione. Al di là di questo, il cartone merita di essere osservato non solo per apprezzarne la squisita fattura e la grazia di molti dettagli, ma anche per vedere il volto del genio: al centro, campeggiano i due massimi filosofi, Platone, dipinto appunto con le sembianze di da Vinci, che con il dito puntato verso il cielo allude al mondo delle idee, e Aristotele, che volgendo il palmo della mano verso terra indica il principio razionalista del suo pensiero.
Pinacoteca Ambrosiana
Piazza Pio XI 2
Da martedì a domenica 10-18
ambrosiana.it