«Chi non ha visto don Abbondio, il giorno che si sparsero tutte in una volta le notizie della calata dell’esercito, del suo avvicinarsi, e de’ suoi portamenti, non sa bene cosa sia impiccio e spavento. Vengono; son trenta, son quaranta, son cinquanta mila; son diavoli, sono ariani, sono anticristi; hanno saccheggiato Cortenuova; han dato fuoco a Primaluna: devastano Introbbio, Pasturo, Barsio; sono arrivati a Balabbio; domani son qui: tali eran le voci che passavan di bocca in bocca; e insieme un correre, un fermarsi a vicenda, un consultare tumultuoso, un’esitazione tra il fuggire e il restare, un radunarsi di donne, un metter le mani ne’ capelli».
La Valsassina irrompe nel romanzo con un avvenimento niente affatto piacevole. Nel capitolo XXIX don Abbondio e l’intero paese sono in subbuglio. L’esercito alemanno che scende dal nord Europa per raggiungere Mantova si sta avvicinando. Passata la Valtellina, scansata la riva orientale del lago, a quei tempi in gran parte impraticabile, attraversa la Valsassina per scendere a Lecco e da lì proseguire verso la pianura. La comunità è in grande angoscia, perché le voci che precorrono il comparire dei soldati parlano di devastazioni e rapine.
La prima tappa valsassinese non può che essere a Barzio, la Barsio di manzoniana memoria. Nel «paese più bello della Valsassina per ubicazione», così scrive Giovanni Pozzi nella “Guida alle Prealpi di Lecco”, nel 1883, oggi capoluogo turistico della valle, dove d’inverno entrano in funzione gli impianti dei Piani di Bobbio, si trova Palazzo Manzoni. L’edificio seicentesco, appartenuto alla famiglia dello scrittore, dal 1930 è riconosciuto monumento nazionale e oggi è sede del municipio e della biblioteca comunale. Abitato da Giacomo Maria Manzoni, quadrisavolo di Alessandro, e in seguito da altri membri della famiglia, nella prima metà dell’Ottocento passa ai Baruffaldi di Cortenova. La facciata con bel portale settecentesco ospita tuttora un medaglione bronzeo dedicato a Tranquillo Baruffaldi, volontario tra i Mille di Giuseppe Garibaldi. Il cortile interno mostra un pozzo dal timpano classicheggiante e un grazioso porticato a crociera su pilastri. Nel 1973 la famiglia Baruffaldi cede il fabbricato alla Parrocchia, che lo permuta, in cambio della casa parrocchiale, con il Municipio. Nel 1982 iniziano i lavori di restauro necessari a ospitare gli uffici comunali. Nonostante il cambio di destinazione d’uso, il palazzo mantiene affreschi e altri particolari decorativi dei secoli precedenti.
Poco distante da Barzio è Pasturo, adagiato alle pendici del versante orientale del Grignone. Il nome evoca paesaggi agresti, ma la cittadina è stata ed è tuttora, insieme a Barzio, una delle località valsassinesi più note per la villeggiatura. Il suo nome inoltre è indissolubilmente legato a “I promessi sposi”, nelle cui pagine il paese è citato espressamente più volte. Difatti, mentre non sappiamo con certezza il luogo di provenienza di Renzo e Lucia, Manzoni rivela la terra dove stanno i parenti di Agnese, la madre della sposa promessa. Nel capitolo XXXIII, Renzo, sopravvissuto miracolosamente alla peste, torna al suo paese. Lì incontra Don Abbondio, al quale chiede notizie.
«Siete qui, voi? – esclamò don Abbondio.
– Son qui, come lei vede. Si sa niente di Lucia?
– Che volete che se ne sappia? Non se ne sa niente. È a Milano, se pure è ancora in questo mondo.
Ma voi…
– E Agnese, è viva?
– Può essere; ma chi volete che lo sappia? non è qui. Ma…
– Dov’è?
– È andata a starsene nella Valsassina, da que’ suoi parenti, a Pasturo, sapete bene; ché là dicono che la peste non faccia il diavolo come qui. Ma voi, dico…
– Questa la mi dispiace. E il padre Cristoforo…?
– È andato via che è un pezzo. Ma…
– Lo sapevo; me l’hanno fatto scrivere: domandavo se per caso fosse tornato da queste parti.
– Oh giusto! non se n’è più sentito parlare. Ma voi…
– La mi dispiace anche questa.
– Ma voi, dico, cosa venite a far da queste parti, per l’amor del cielo? Non sapete che bagattella di cattura…?
– Cosa m’importa? Hanno altro da pensare. Ho voluto venire anch’io una volta a vedere i fatti miei. E non si sa proprio…?
– Cosa volete vedere? che or ora non c’è più nessuno, non c’è più niente. E dico, con quella bagattella di cattura, venir qui, proprio in paese, in bocca al lupo, c’è giudizio? Fate a modo d’un vecchio che è obbligato ad averne più di voi, e che vi parla per l’amore che vi porta; legatevi le scarpe bene, e, prima che nessuno vi veda, tornate di dove siete venuto; e se siete stato visto, tanto più tornatevene di corsa. Vi pare che sia aria per voi, questa? Non sapete che sono venuti a cercarvi, che hanno frugato, frugato, buttato sottosopra…
– Lo so pur troppo, birboni!
– Ma dunque…!
– Ma se le dico che non ci penso. E colui, è vivo ancora? è qui?
– Vi dico che non c’è nessuno; vi dico che non pensiate alle cose di qui; vi dico che…
– Domando se è qui, colui.
– Oh santo cielo! Parlate meglio. Possibile che abbiate ancora addosso tutto quel fuoco, dopo tante cose!
– C’è, o non c’è?
– Non c’è, via. Ma, e la peste, figliuolo, la peste! Chi è che vada in giro, in questi tempi?
– Se non ci fosse altro che la peste in questo mondo… dico per me: l’ho avuta, e son franco.
– Ma dunque! ma dunque! non sono avvisi questi? Quando se n’è scampata una di questa sorte, mi pare che si dovrebbe ringraziare il cielo, e…
– Lo ringrazio bene.
– E non andarne a cercar dell’altre, dico. Fate a modo mio…
– L’ha avuta anche lei, signor curato, se non m’inganno.
– Se l’ho avuta! Perfida e infame è stata: son qui per miracolo: basta dire che m’ha conciato in questa maniera che vedete. Ora avevo proprio bisogno d’un po’ di quiete, per rimettermi in tono: via, cominciavo a stare un po’ meglio… In nome del cielo, cosa venite a far qui? Tornate…
– Sempre l’ha con questo tornare, lei. Per tornare, tanto n’avevo a non movermi. Dice: cosa venite? cosa venite? Oh bella! vengo, anch’io, a casa mia.
– Casa vostra…
– Mi dica; ne son morti molti qui?…
– Eh eh! – esclamò don Abbondio; e, cominciando da Perpetua, nominò una filastrocca di persone e di famiglie intere. Renzo s’aspettava pur troppo qualcosa di simile; ma al sentir tanti nomi di persone che conosceva, d’amici, di parenti, stava addolorato, col capo basso, esclamando ogni momento: – poverino! poverina! poverini!».
Dunque, Manzoni informa i lettori che Agnese si rifugia a Pasturo per scampare la pestilenza. I luoghi di campagna, meno affollati, a volte sono risparmiati dalla peggior violenza del contagio. registri ecclesiastici, però, raccontano ben altra storia: sono registrati 432 morti tra Pasturo e Baiedo e il curato Pietro Platti scrive che ne venivano seppelliti «sino al numero di 21 al giorno». Ad ogni modo. oggi nella piccola via Parrocchiale si trova quella che secondo la leggenda è la casa di Agnese, in tipico stile valsassinese, con portici e loggiati.
Pasturo è di nuovo citata poco più avanti, nello stesso capitolo XXXIII del romanzo: «Se la mi va bene, – gli disse, – se la trovo in vita, se… basta… ripasso di qui; corro a Pasturo, a dar la buona nuova a quella povera Agnese, e poi, e poi… Ma se, per disgrazia, per disgrazia che Dio non voglia… allora, non so quel che farò, non so dov’anderò: certo, da queste parti non mi vedete più -. E così parlando, ritto sulla soglia dell’uscio, con la testa per aria, guardava con un misto di tenerezza e d’accoramento, l’aurora del suo paese che non aveva più veduta da tanto tempo». E poi ancora, nel penultimo capitolo, il XXXVII, quando Renzo lascia il Lazzaretto, dove nel quartiere delle donne ha ritrovato Lucia, torna al suo paese e va poi da Agnese per informarla di ogni cosa. «Andava dunque il nostro viaggiatore allegramente, senza aver disegnato né dove, né come, né quando, né se avesse da fermarsi la notte, premuroso soltanto di portarsi avanti, d’arrivar presto al suo paese, di trovar con chi parlare, a chi raccontare, soprattutto di poter presto rimettersi in cammino per Pasturo, in cerca d’Agnese». Il nome del paese è ripetuto altre volte ancora. Qui: «S’alzò prima che facesse giorno; e, vedendo cessata l’acqua, se non ritornato il sereno, si mise in cammino per Pasturo». E anche qui: «La conclusione fu che s’anderebbe a metter su casa tutti insieme in quel paese del bergamasco dove Renzo aveva già un buon avviamento: in quanto al tempo, non si poteva decider nulla, perché dipendeva dalla peste, e da altre circostanze: appena cessato il pericolo, Agnese tornerebbe a casa, ad aspettarvi Lucia, o Lucia ve l’aspetterebbe: intanto Renzo farebbe spesso qualche altra corsa a Pasturo, a veder la sua mamma, e a tenerla informata di quel che potesse accadere». E infine: «trottò subito a Pasturo; trovò Agnese rincoraggiata affatto, e disposta a ritornare a casa quando si fosse; di maniera che ce la condusse lui: né diremo quali fossero i loro sentimenti, quali le parole, al rivedere insieme que’ luoghi».
Qui si chiudono le citazioni di Pasturo e il romanzo si avvia alla conclusione. Agnese torna alla sua abitazione dove è raggiunta dai due promessi; tutti insieme, dopo il matrimonio celebrato da Don Abbondio, si trasferiscono nel bergamasco. Lì la vita finalmente arride a Renzo e Lucia, gli affari vanno bene, nasce la prima figlia, Maria, e poi altri pargoli, che per volontà del padre dovranno imparare a leggere e scrivere. Renzo seguita a raccontare le sue avventure e quel che ha imparato da esse. Lucia «a forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, – e io, – disse un giorno al suo moralista, – cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercar me. Quando non voleste dire, – aggiunse, soavemente sorridendo, – che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi».
Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia».
Così il Manzoni chiude il romanzo, ma non senza salutare i suoi lettori con un ultimo tocco di ironia: «La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta».
Palazzo Manzoni
Via Alessandro Manzoni 12
Barzio
Casa di Agnese
Via Parrocchiale 9
Pasturo