Dunque, come già detto, l’11 novembre 1628 Renzo viene a Milano per chiedere asilo a padre Bonaventura nel convento dei Cappuccini.
«S’aprì uno sportellino che aveva una grata, e vi comparve la faccia del frate portinaio a domandar chi era.
– Uno di campagna, che porta al padre Bonaventura una lettera pressante del padre Cristoforo.
– Date qui, – disse il portinaio, mettendo una mano alla grata.
– No, no, – disse Renzo: – gliela devo consegnare in proprie mani.
– Non è in convento.
– Mi lasci entrare, che l’aspetterò.
– Fate a mio modo, – rispose il frate: – andate a aspettare in chiesa, che intanto potrete fare un po’ di bene. In convento, per adesso, non s’entra -. E detto questo, richiuse lo sportello. Renzo rimase lì, con la sua lettera in mano. Fece dieci passi verso la porta della chiesa, per seguire il consiglio del portinaio; ma poi pensò di dar prima un’altra occhiata al tumulto. Attraversò la piazzetta, si portò sull’orlo della strada, e si fermò, con le braccia incrociate sul petto, a guardare a sinistra, verso l’interno della città, dove il brulichìo era più folto e più rumoroso. Il vortice attrasse lo spettatore. “Andiamo a vedere”, disse tra sé; tirò fuori il suo mezzo pane, e sbocconcellando, si mosse verso quella parte. Intanto che s’incammina, noi racconteremo, più brevemente che sia possibile, le cagioni e il principio di quello sconvolgimento».
Padre Bonaventura dunque non c’è, Renzo allora decide di andare a fare un giro per la città, incuriosito dai rumori che sente in lontananza. Giungono dai tumulti in atto, già preannunciati all’ignaro giovane da segni evidenti: i pani trovati per terra, una scombinata famigliola che porta via pane e farina, le strade e le piazze brulicanti di uomini rabbiosi.
Ripercorriamo, per quel che è ancora possibile, l’itinerario compiuto da Renzo quel giorno. All’incrocio tra via San Damiano e via Senato scavalca il naviglio interno su di un ponte. Oltrepassata piazza San Babila, imbocca Corso Vittorio Emanuele, allora denominato Corsia dei Servi e diviso in tre parti: la contrada dei Sacchetti, collocata dove adesso si trova la chiesa di San Carlo al Corso, la Stretta dell’Uomo di pietra, dalla statua romana chiamata dai milanesi l’Omm de preja, la contrada del Còmpito, si suppone per la presenza, in epoca romana, di un tempio ai Lari Compitali, divinità, pare di origine etrusca, preposte a vegliare i crocicchi stradali. Qui, all’incirca all’altezza dell’odierno numero 1, si ferma a guardare il Forno delle Grucce, che è preso d’assalto dalla folla affamata. Tale forno è esistito veramente. Riguardo al nome il Manzoni scrive che «in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così eteroclite, così bisbetiche, così salvatiche, che l’alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono (El prestin di scansc)». In realtà, spiegano gli storici, la parola “scansc” non allude alle grucce dell’insegna, come pensa l’autore, bensì alla nobile famiglia toscana degli Scansi a cui la bottega appartiene da tempo. Sostenuto dalla fortuna manzoniana, il prestino riapre nel 1870 e resta in vita fino al 1919. Il nuovo proprietario regala a Manzoni dei dolci deliziosi e lo scrittore lo ringrazia con questo messaggio: «Al forno delle Grucce, ricco ormai di fama propria e non bisognoso di fasti genealogici, Alessandro Manzoni, solleticato voluttuosamente con un vario e squisito saggio nella gola e nella vanità, due passioni che crescono con gli anni, presenta i più vivi e sinceri ringraziamenti».
Riprendiamo i fatti del 1628. Seguitando a seguire la folla Renzo giunge in piazza del Duomo, dove osserva con meraviglia l’immensa chiesa, ancora in costruzione. «La voglia d’osservar gli avvenimenti non poté fare che il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su, con la bocca aperta». La facciata della cattedrale è ben lontana dal compimento e la piazza è più piccola di quella attuale. Al posto dei portici ci sono ancora quartieri popolari, il Coperto dei Figini e il Rebecchino, tutti demoliti nell’Ottocento. Lo spiazzo pulsa di vita ed è sede di frequenti mercati. Appena si sparge la voce che «al Cordusio (una piazzetta o un crocicchio non molto distante di lì)» si è preso d’assedio un altro forno, la folla vi si dirige in massa. Renzo passa per via della Pescheria vecchia, dove si vendono gamberi e pesciolini, e sotto l’arco sbieco. Di entrambi non è rimasta traccia. Per seguire le sue orme oggi si imbocca Via Mercanti. «E lì eran ben pochi quelli che, nel passar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell’edifizio chiamato allora il collegio de’ dottori, non dessero un’occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo II, che, anche dal marmo, imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse lì per dire: ora vengo io, marmaglia. Quella statua non c’è più, per un caso singolare. Circa cento settant’anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto. Così accomodata stette forse un par d’anni; ma, una mattina, certuni che non avevan simpatia con Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la ruzzolarono non so dove. Chi l’avesse detto a Andrea Biffi, quando la scolpiva!». Manzoni noioso? Diremmo piuttosto pieno di sarcasmo, sempre pronto all’irrisione se non al dileggio. Ma, procediamo sui nostri passi, come ombre dietro Renzo. Dopo essere passato per via de’ Fustagnai, finalmente entra in Cordusio. Il forno destinato a ricevere il nuovo assalto è chiuso e alle finestre c’è gente armata pronta a proteggerla. La folla, impossibilitata ad attaccare, si dirige allora verso la casa del Vicario di Provvisione, ritenuto il responsabile della situazione. Di nome questi fa Ludovico Melzi, la sua famiglia è tra le più importanti di Milano, tra i suoi avi vanta Girolamo, capitano delle milizie a inizi Cinquecento nonché amico e protettore di Leonardo, e il figlio Francesco, discepolo tra i prediletti dal maestro. Il suo palazzo si trova in via Santa Maria Segreta, all’attuale numero 7/9. Il Vicario è a casa, intento a digerire un magro pasto consumato senza pane fresco, quando alcuni cittadini giungono a informarlo che la folla è diretta lì, vogliono linciarlo. La fuga è ormai impossibile, così la servitù spranga porte e finestre mentre giunge l’urlo della sommossa che si avvicina minacciosamente. Il poveruomo si nasconde in soffitta in preda al terrore. I rivoltosi giungono sotto la porta di casa e questa volta Renzo si trova in mezzo alla sommossa per scelta deliberata, non più trascinato dai disordini. Non sa dire se il saccheggio sia giusto o sbagliato, però l’idea dell’omicidio suscita in lui orrore. «Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano? Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de’ fulmini, e non del pane!». Alla fine il Gran Cancelliere Ferrer arriva in soccorso del Vicario in carrozza, lo preleva e insieme si dileguano rapidamente verso il sicuro Castello.
Da questo momento in avanti è meno agevole ricostruire il tragitto di Renzo. Qualche storico locale localizza in via Armorari, dietro l’attuale Piazza Cordusio, l’osteria della Luna Piena, dove Renzo compie l’ultima sosta prima di lasciare precipitosamente Milano. C’è chi sostiene invece che era in di Via Rovello, altri ancora indicano Via san Tommaso. Ad ogni modo, il giovane vi si reca in compagnia di un bargello travestito, sguinzagliato al suo seguito dal capitano di giustizia. Si avvicina a Renzo dopo avere ascoltato il suo improvvisato discorso alla folla e da quel momento non lo molla più. L’osteria dove i due convergono è un locale malfamato e frequentato da gente di ogni risma. Renzo finisce per ubriacarsi e, privo di lucidità, cade nella trappola che gli viene tesa, rivelando il suo nome sia al bargello sia all’oste. Quando quest’ultimo si reca dal notaio criminale per denunciarlo scopre che il poliziotto l’ha preceduto. Il mattino seguente, al risveglio, Renzo si trova di fronte il notaio criminale e due birri pronti ad arrestarlo. Ammanettato, esce per strada cercando all’istante il soccorso della folla. E proprio grazie all’aiuto di alcuni popolani, riesce a scappare.
Corso Vittorio Emanuele
Milano
Piazza Duomo
Milano
Piazza dei Mercanti
Milano
Piazza Cordusio
Milano