«Eccoci nel cuore della Brianza verace, la più tradizionale e autentica», così è presentato il paese di Colle Brianza nel volume La Grande Brianza. Già perché originariamente il toponimo, passato poi a indicare l’intera regione, si riferisce a queste alture, a quel Monte di Brianza su cui si erge il Campanone, che in realtà è un massiccio torrione dal quale in passato vengono diffusi rintocchi per segnalare i pericoli incombenti. Quel che si vede oggi è un rifacimento di fine Ottocento, poi restaurato nel 1963. L’originario manufatto crolla nel 1878, dopo che si è tentato di piazzarvi una campana nuova, rivelatasi però troppo grossa e pesante. Ad ogni modo, andare al Monte di Brianza significa ancora oggi fare un viaggio nel cuore geografico e semantico di questa terra. Scrive Giampaolo Dossena nella lunga premessa a La Brianza dei poeti: «Stendhal diceva “Colli di Brianza, in italiano; Il Foscolo scriveva “Monte di Brianza” in prosa e “clivio di Brianza” in versi; nell’Adda il Manzoni dice “dorso brianteo».
Di fatto ai primi del Quattrocento il Monte di Brianza è ancora una certa zona all’interno della Martesana, ma nei secoli seguenti tutta la Martesana diventa Monte di Brianza e infine solo Brianza.
Nel vicino comune di Castello di Brianza c’è un palazzo fortificato fatto erigere, si dice, da Teodolinda. Non ci sono prove evidenti che la regina vi abbia mai dimorato e la vicenda è complicata dal fatto che alcuni sostengono che in verità lei un castello qui ce l’aveva per davvero, ma era dove adesso sorge il Campanone. Carlo Emilio Gadda dedica a questi luoghi e ai suoi abitanti alcuni passaggi memorabili nel capitolo “Dalle specchiere dei laghi” contenuto in Meraviglie d’Italia: «Nella terra che avrebbe potuto essere terra e patria anche a me, come a tutti era, e c’erano per i chiari sentieri le ragazze delle filande, con un canto, con a mano il secchiello della refezione: contadini robusti, sudati, dentro la luce di operosi mattini. Un ricco, fumigante letame veniva inforchettato sui carri con il declino di settembre, sparso dovunque alla terra, davanti fatiche sacre. E sull’andare della strada il cigolio della carra, il dondolo di pertinaci sonagliere, o cavalli tozzi, sudati, incitati da corta frusta, quando la viene impugnata alla rovescia e si abbatte a stanga sulle groppe o contro l’impegno volenteroso delle culatte. Con l’ü violento, o strascinato, dei carratori lombardi. Erano degli energumeni rossi, fedeli al cammino. Avevano carichi di sete, di filati, sui lor carri, o sacchi di infinite patate. Ed erano uomini con un fazzoletto di seta attorno il collo, con la catena d’argento al panciotto. Rossi nel volto, nel collo, da parer cotti. O, talvolta, fermi a tracannare un bicchiere dov’è la porticina dell’osteria della pesa; o mi guardavano, passando, o sostando: come antichi liguri assueti a durezza, come antichi celti ai guadi, con naso di cane. Altri parevano i taciturni camminatori delle valli, discesi dalle bocchette dell’Alpe, gelide, e poi lungo i cammini delle forre, sotto eremi strani. Con occhi freddi. Già biondi, forse, e adesso canuti in una vecchiezza scarna, prudente e fattiva. Con nasi aquilini o dritti, affilati quasi; e Autari e Agilulfo erano stati re nel tempo, e la saggia e provvidente regina. La torre che ne rammemora il nome è un’asta nera infitta a sommo la collina più lontana, l’estrema, verso Monza: verso la Sedia del regno: «Est sedes Itagliae regni Modetia magni». Da quel colle, nei meriggi affocati, tutto il cielo della Italia».
Al comune di Colle Brianza appartiene anche il San Genesio, sulla cui cima sorge un complesso religioso citato per la prima volta in un documento dell’anno 950. Passato all’ordine degli eremitani di Sant’Agostino a fine Cinquecento, il convento è soppresso nel 1770 dal governo austriaco; sono i Frati Camaldolesi, insediatosi nella seconda metà dell’Ottocento, a costruire la chiesa e a conferire al luogo l’aspetto odierno. Nei pressi dell’eremo c’è un piccolo rifugio, dalla piccola terrazza sul retro è possibile posare lo sguardo sulle Grigne, il Resegone, la Valcava; in basso c’è la sinuosa valle dell’Adda, mentre sulla dorsale collinare verso nord, quasi nascosta, s’intravede Consonno, la città fantasma che doveva essere la Las Vegas della Brianza. Il progetto avviato negli anni Sessanta ha vita breve, anzi brevissima. Ora è lì, con la sua aria malinconica, la passeggiata arrugginita, il centro commerciale simile a una moschea con tanto di minareto e la natura che si riprende con forza ciò che è suo. Forse un monito: in Brianza si lavora, mica si gioca alla roulette.
Tutti questi luoghi sono attraversati dal Sentierone, un percorso che collega l’estremità sud della provincia di Lecco con il capoluogo, scavalcando la collina di Montevecchia, risalendo le pendici del Monte di Brianza e percorrendo la lunga dorsale del San Genesio per scendere nella sella di Galbiate e, facendo il periplo del Monte Barro, arrivare in centro a Lecco. Una camminata di quasi 35 chilometri, dalla pianura al lago, che parte dai 200 metri di Lomagna per salire ai quasi 500 di Montevecchia, poi ancora giù nella valletta di Rovagnate e poi ancora su agli 800 metri del Monte Crocione, tutto lungo sentieri escursionistici ben segnati e mantenuti, con costanti punti di connessione con la rete ferroviaria, per un veloce ed ecologico rientro a casa.
Campanone della Brianza
Colle Brianza
comune.collebrianza.lc.it
Eremo di San Genesio
Via San Genesio
Colle Brianza
Il Sentierone
Parcocurone.it